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Anemia mediterranea e criteri dietetici dedicati

Anemia mediterranea e criteri dietetici dedicati

CENNI INTRODUTTIVI

Tutti conoscono il morbo di Cooley, anche se è più spesso noto come talassemia o anemia mediterranea. Le talassemie sono un gruppo eterogeneo di emopatie genetiche caratterizzate da insufficiente produzione di emoglobina, per la precisione un’alterazione quantitativa sulla sintesi delle catene emoglobiniche. Nella malattia mediterranea tipo alfa si ha minore produzione di catene α, nel tipo beta, come si comprende, si ha minore produzione di catene β. La forma beta è sicuramente quella più diffusa; nella sua forma maior era originariamente nota come morbo di Cooley. Questo è caratterizzato dalla sbilanciata sintesi di catene β, seguite sia da emolisi di grado variabile che eritropoiesi inefficaceInfatti, l’eccesso di catene α, poco solubili, tende e a formare aggregati dentro le cellule midollari che destabilizzano la maturazione dei precursori midollari. Per compensare queste perdite all’origine, il midollo si espande a colonizzare organi non normalmente deputati all’emopoiesi nell’età adulta come fegato e milza. Questo spiega perché il 20% dei pazienti con anemia mediterranea presenta splenomegalia (milza ingrossata).

In aggiunta, la carenza di catene beta porta all’espressione parziale di catene gamma (presenti solo in età fetale), generando complessi α2γ2, noti anche come emoglobina fetale (HbF). Maggiore è la loro produzione, migliore è il quadro clinico. Il fenomeno della regolazione delle catene gamma, per aumentarne l’espressione cellulare, è un punto attivo della ricerca ematologica che ha identificato alcune sostanze naturali interessanti allo scopo. I barmbini con la forma maior appaiono malnutriti, palesemente sottopeso e a volte con anomalie scheletriche secondiarie all’espansione del midollo osseo. L’esame emocromocitometrico completo rileva numerose anomalie. L’elettroforesi proteica mostra l’emoglobina HbA2 raddoppiata ed un aumento medio del 20-30% di HbF. Vi è generalmente ipoalbuminemia ed anche altre proteine a genesi epatica sono alterate, come ferritina, fibrinogeno e alfa2-microglobulina, a causa del cronico accumulo di ferro nel fegato. L’accumulo di questo metallo (siderosi) può determinare scompensi a carico di numerosi organi come lo stesso fegato, cuore, reni e sistema endocrino.

LE BASI DEL DANNO BIOLOGICO

Lo stress ossidativo indotto dall’accumulo di ferro è la causa di tutti i problemi nel decorso della malattia. L’alternanza della forma ridotta (+2) e ossidata (+3) dello ione ferro genera trasferimento di elettroni sull’ossigeno molecolare generando superossido (O2-), che viene ridotto dalla superossido-dismutasi (SOD) ad acqua ossigenata. Questa, o viene detossificata dalle catalasi o reagendo nuovamente con ferro ridotto (+2) genera radicali liberi idrossile (.OH). Quest’ultimo passaggio si chiama reazione di Fenton e non esistono sistemi endogeni di protezione contro questo radicale. La sua grande reattività di questo, gli permette di danneggiare strutture di membrana, proteine fino agli acidi nucleici. A primo impatto, si potrebbe pensare che una supplementazione con vitamina C possa rappresentare un valido aiuto contro questa tipologia di danno, considerato che essa promuove anche un migliore assorbimento intestinale del ferro.

Niente di più errato. La classica reazione di Fenton avviene per reazione di acido ascorbico con ioni ferroso(+2) o rame(+2). Aggiungere un carico supplementare di vitamina C, equivarrebbe letteralmente a “gettare benzina sul fuoco”, portando ad un potenziale aggravamento del danno biologico. Ecco perché uno dei cardini della moderna terapia è la terapia chelante. Originariamente veniva usata la desferoxamina (Desferal), che ad infusione cutanea a cicli permetteva un considerevole ritardo nella comparsa degli effetti tossici della siderosi. Oggi sono a disposizione agenti più efficaci e più sicuri, come il deferiprone (Ferriprox) e deferasirox (Exjade), che possono essere assunti per via orale. La terapia chelante, di qualsiasi tipo sia, con eventuali effetti collaterali da tenere in conto, deve essere attuata per non incorrere in gravi complicanze.

DIREZIONI ALIMENTARI O NUTRIZIONALI ?

E’ possibile, dunque, scegliere il giusto antiossidante per garantire una migliore qualità di vita ai piccoli pazienti? Le indagini cliniche decennali effettuate su soggetti affetti dalla malattia, hanno riscontrato carenze multiple, sia per composti organici che sali minerali. Da questo deriva la raccomandazione per supplementi con acido folico, carnitina, acido lipoico, vitamina H, fosforo, calcio e rame. Tra i deficit nutrizionali riscontrati nella talassemia maior, vi sono anche quelli di vitamina A, vitamina E, zinco e selenio. Questi ultimi sono noti antiossidanti facenti parte di sistemi enzimatici contro l’azione dei radicali liberi.

Ove non fosse possibile accedere alle maggiori sorgenti di vitamina A, fosforo e zinco, un’alimentazione che comprenda un buon consumo di latte potrebbe supplire in tal senso. Carnitina ed acido lipoico, invece, derivano primariamente dalle carni animali. Ove l’alimentazione risultasse inadeguata in tal senso, la supplementazione è disponibile in commercio ed accessibile in formulazioni per bambini ed adulti. La loro integrazione non deve essere ritenuta marginale, considerato che le complicanze cardiache dei pazienti con anemia mediterranea di una certa età sono relativamente frequenti. Supplementi di acido lipoico, carnitina e selenio, aiutano il muscolo cardiaco a fronteggiare meglio lo stress ossidativo da accumulo di ferro.

Si intende rimarcare, tuttavia, che la vitamina C non deve essere considerata un fattore tossico o aggravante per l’anemia mediterranea. La sua efficacia è solamente subordinata al grado di siderosi (accumulo di ferro) del paziente. Ciò può significare che adeguati quantitativi di vitamina C possono essere introdotti (frutta o supplementi) dopo aver completato un ciclo di terapia chelante del ferro, per minimizzare il danno biologico. Anche in questo senso, la scelta della frutta può divenire mirata: al riguardo si segnalano  la papaya, il kiwi, le fragole e gli altri frutti di boscoLa protezione cellulare diventa dunque un obbligo nell’anemia mediterranea, considerata la sua inguaribilità e l’assenza di approcci farmacologici mirati alla radice, ma solo sintomatici.

Articolo a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci – Medico specialista in Biochimica Clinica; e del Dr. Danilo Ciciulla – Tecnologo alimentare e Auditor.

 

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