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I tumori maligni del cavo orale

I tumori maligni del cavo orale

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7. CAVO ORALE 

La patologia neoplastica del cavo orale è più frequente di quantosi ritiene,  soprattutto nel sesso maschile, ha connotazioni epidemiologiche particolari e  la sua incidenza è andata significativamente aumentando negli ultimi  decenni. Se la mortalità è aumentata meno significativamente è probabilmente merito di una maggiore efficacia dei trattamenti e di una,  seppur modesta, precocizzazione della diagnosi. In quest’ultimo campo  ancora molto resta da fare, considerando da un lato la possibilità di una  prevenzione primaria e secondaria (alcoolismo e tabagismo) dall’altro la  relativamente facile accessibilità della regione alla diagnosi ispettiva e  palpatoria. Per quanto riguarda il trattamento dei tumori maligni di questa regione sono applicabili svariate metodiche sia chirurgiche che  radioterapiche o combinazioni delle due.

RICHIAMI ANATOMICI 


labbro inferiore e superiore (prolabio e mucosa vestibolare) 


gengive inferiore e superiore (bordi alveolari) 


pavimento orale anteriore e laterale 


lingua mobile (2/ 3 anteriori, cioè endoorali) 


guancie (mucosa geniena, compreso il trigono retromolare) 


il palato duro 

Il cavo orale ha struttura molto accidentata ed è tappezzato da mucosa  rivestita da epitelio
stratificato, che è la sede di origine del 90% dei tumori  maligni di questa regione. I rapporti della
mucosa con le strutture sottostanti  (muscoli,
periostio e osso) sono estremamente importanti nel condizionare la  progressione locale delle neoplasie, la
possibilità tecnica di applicazione delle
varie terapie, i risultati oncologici, le conseguenze dei trattamenti
sia  chirurgici sia radioterapici, le
possibilità di ripristino dei danni. Il massimo
rilievo è assunto in questo senso dalle formazioni ossee: bordi
alveolari,  mandibola e palato duro, la cui
asportazione può comportare importanti  deficit
funzionali ed estetici e condizionare alcune scelte terapeutiche o, in  alternativa, la prognosi.  La frequenza di localizzazione dei carcinomi
nelle diverse sottosedi varia  notevolmente
da Paese a Paese. In India, dove l’incidenza è molto elevata  per l’abitudine a masticare tabacco e betel
in varie forme, la localizzazione  più
frequente è quella alla mucosa geniena, alle gengive e ai fornici. In  Europa e specificatamente in Italia le
sottosedi più colpite, dopo il labbro  inferiore,
sono la lingua (30%) e il pavimento orale (16%). 

EZIOPATOGENESI 

Buona parte dei carcinomi del cavo orale insorge su manifestazioni
già note  come stati precancerosi
(leucoplachie, eritroplasia, lichen, fibrosi
sottomucosa). Approssimativamente tale quota può essere stimata fra il
15  ed il 40%. 

Lesioni
precancerose 

Classificazione clinica 


Leucoplachia 


Eritroplachia 


Cheratosi palatale associata a
fumo di tabacco 

Classificazione istologica 


Displasia dell’epitelio squamoso


Carcinoma in situ 


Cheratosi attinica (labbro)

La degenerazione può avvenire anche dopo molti anni (15-30) ed è
tanto più  probabile quanto minore è
l’età di comparsa. Oltre ad alcolismo e tabagismo  e alle precancerosi, altri fattori
etiopatogenetici sono stati identificati:
microtraumi da malformazioni dentarie (rari in assoluto, predominanti in  soggetti più giovani) o da dentature malconce
e da protesi alterate o non  ribasate
(frequenti in soggetti anziani). In buona parte dei casi un  meccanismo patogenetico specifico non può
essere identificato. 

SINTOMATOLOGIA E PRESENTAZIONE CLINICA 

La presenza di una neoplasia del cavo orale è in genere avvertita
dal  paziente in fase relativamente
precoce, per algie, bruciori, senso di corpo
estraneo, sanguinamento. I disturbi soggettivi sono troppo spesso  sottovalutati dal paziente e spesso
misconosciuti dal medico di prima  consultazione.
Questi sovente è indotto ad indirizzare il paziente, dopo  terapie infruttuose, a specialisti non
adeguati (dermatologo,  odontostomatologo),
la cui competenza in campo oncologico cervico- facciale  è molto spesso generica. Per l’esperto, la
diagnosi è possibile (palpazione)  nel
90% dei casi e l’esame istologico su biopsia è risolutivo nel 98% dei casi.  Assai meno affidabile è l’esame citologico su
striscio, che per di più non  consente
precisazioni istologiche (istotipo, grading).
Il carcinoma del cavo orale esordisce frequentemente come lesione  superficiale micropapulare, ma tende
rapidamente ad ulcerarsi e ad infiltrare
le strutture sottostanti (muscolatura, periostio, osso). L’aspetto
clinico più  comune è quello di una
ulcerazione a bordi rilevati e duri, con fondo carnoso  irregolare. Non sono rare le forme erosive
superficiali, finemente granulose,  specialmente
comuni come degenerazioni di precancerosi.
L’invasione della rete linfatica è piuttosto precoce e prelude alla
diffusione ai  linfonodi del collo.
Questa si verifica con frequenza variabile secondo la  localizzazione, anche in caso di tumori
primitivi relativamente limitati. Oltre  che
dalle dimensioni del tumore primitivo, la frequenza delle metastasi  linfonodali dipende anche da alcune sue
caratteristiche istologiche (spessore,  grado
di malignità, invasione perineurale). La diffusione per via linfatica  avviene generalmente in modo progressivo, a
partire dai linfonodi più  prossimi al
tumore primitivo per continuarsi in quelli giugulari medi ed  inferiori. Non sono rare però le
localizzazioni primarie in questi ultimi
linfonodi.  Nei più rari carcinomi
ad origine da ghiandole salivari, l’esordio è in genere  nodulare, lo sviluppo è per lo più
accrescitivo, a decorso relativamente lento.
Queste neoplasie possono apparire clinicamente ben delimitate, anche se  l’esame istologico ne dimostra costantemente
la natura infiltrativa. 

ANATOMIA PATOLOGICA 

Nella cavità orale il tipo istologico prevalente è il carcinoma
squamocellulare  che insorge nelle mucose
di rivestimento e costituisce il 90% dei tumori
maligni. Il carcinoma squamoso si presenta con vari gradi di
differenziazione  anche se in questa sede
prevalgono aspetti di buona differenziazione. Viene  riportata la classificazione WHO dei tumori
del cavo orale che comprende  anche gli
istotipi meno comuni. 

Classificazione
istologica dei tumori epiteliali maligni della mucosa orale  secondo WHO (Pindborg, 1997) 


Carcinoma squamocellulare 


Carcinoma verrucoso 


Carcinoma basosquamoso 


Carcinoma squamoso adenoide


Carcinoma a cellule fusate 


Carcinoma adenosquamoso 


Carcinoma indifferenziato 


Carcinomi di ghiandole salivari minori 

DIAGNOSI 

È basata sull’esame clinico ispettivo e palpatorio, con
misurazione accurata  delle dimensioni
(diametro maggiore) e valutazione dell’infiltrazione.  L’esame clinico è sufficiente per lesioni di
dimensioni inferiori a 3 cm. e  senza
rapporti con strutture ossee. In caso contrario sono indicati esami  strumentali come: 


ortopantomografia 


TC o RM 

Una volta definita la natura neoplastica maligna, la stadiazione
deve essere  completata con: 


esame radiografico del torace


panendoscopia (raccomandata ma non obbligatoria) 

La diagnosi di natura va formulata con biopsia diagnostica, che
non deve  alterare la configurazione
della lesione. È da proscrivere la biopsia- exeresi:  se la lesione sospetta è piccola (£ 1.5 cm) è
preferibile un’ampia exeresi,  tale da
risultare sicuramente radicale qualunque sia la diagnosi definitiva.  Per lo studio delle aree linfatiche si rinvia
al Capitolo 5a. 

STADIAZIONE DEL TUMORE PRIMITIVO

È fondata sulla classificazione TNM della UICC, 1997.  Tx Tumore primitivo non definibile  T0 Tumore primitivo non evidenziabile  Tis Carcinoma in situ  T1 Tumore la cui dimensione massima. non
supera i 2 cm  T2 Tumore la cui
dimensione massima è fra 2- 4 cm  T3
Tumore la cui dimensione massima supera i 4 cm
T4 Tumore che invade strutture adiacenti, come la corticale ossea, la  muscolatura profonda della lingua, il seno
mascellare, la cute 

MODALITÀ TERAPEUTICHE 

Terapia chirurgica 

L’armamentario chirurgico si avvale, oltre che dei mezzi
tradizionali, anche  della radiazione
laser, della elettrochirurgia (elettroexeresi ed  elettrocoagulazione) e della criochirurgia
(congelamento in situ). L’impiego  di
questi ultimi mezzi è riservato a lesioni esclusivamente superficiali oppure,  se infiltranti, di limitata estensione.
Elettrocoagulazione e criochirurgia non  consentono
una verifica istologica né lo studio dei margini di resezione e  pertanto non sono consigliabili.  Relativamente alla chirurgia convenzionale
è importante sottolineare che  in
ragione delle attuali possibilità di ricostruzione sono caduti molti limiti di  resecabilità chirurgica. I rapporti con
strutture ossee contigue comportano la  necessità
di sacrificare in parte o per intero formazioni ossee adiacenti alla  neoplasia, quali la mandibola, il bordo
alveolare superiore, il palato duro.  Tuttavia
è oggi molto spesso programmabile, sia pur in ambienti  chiaramente specialistici, una loro
sostituzione con innesti o trapianti  autogeni
o con materiali allogenici. È possibile un ampio arco di opzioni fra  differenti procedimenti di ricostruzione. È
pertanto da proscrivere la  definizione
di “devastanti” riferita agli interventi maggiori sulla cavità orale.  Tale termine induce spesso al rifiuto
dell’intervento da parte del paziente (o
dei parenti) ed è usato altrettanto spesso da sanitari che non hanno mai  visto ciò che in realtà può ottenere la
moderna chirurgia ricostruttiva.  Definendo
le tecniche chirurgiche, si rammenta che exeresi limitate sono per  lo più possibili ed indicate solo per lesioni
di dimensioni <1,5 cm. Per lesioni  più
estese sono indicate alcune precise tecniche “demolitive” che  comprendono la emiglossectomia, la
eviscerazione pelvi- buccale anteriore,  la
resezione linguale o pelvi- linguale laterale per via transmandibolare  ricostruttiva o demolitiva, le resezioni
ossee del bordo alveolare superiore,  del
palato duro, del bordo alveolare inferiore e della mandibola.  Le conseguenze di tutti questi interventi possono
coinvolgere in maniera  variabile le
differenti funzioni cui sono deputate le strutture del cavo orale.  Esse sono minime e clinicamente trascurabili
in caso di resezioni limitate, per  assumere
un’importanza crescente in rapporto all’entità delle demolizioni.  Ovviamente l’ampiezza della demolizione
chirurgica è proporzionale alla  gravità
della malattia, ovvero in primo luogo alla sua estensione. 

Terapia radiante 

Tra le neoplasie del distretto cervico- cefalico, sono soprattutto
quelle del  cavo orale che trovano
frequente indicazione alla brachiterapia interstiziale  (BRT) in ragione della loro accessibilità
alle manovre manuali relative al  posizionamento
dei preparati radioattivi. La BRT – con sorgenti filiformi di  Iridio 192 – è generalmente applicata alle
neoplasie di dimensioni limitate e  purchè
la loro distanza dall’osso mandibolare non sia inferiore a 0,5 cm. In  tutte le altre situazioni, ovvero neoplasie
estese, profondamente infiltranti e/  o
contigue all’osso, il trattamento radiante può essere realizzato solo con  fasci esterni di fotoni di alta energia (ERT)
ed è possibile l’esecuzione  combinata
tra ERT e BRT. Le radiazioni abitualmente impiegate possono  essere sia i raggi X emessi da un
acceleratore lineare di energia di regola
non superiore a 6- 8 MV, sia le radiazioni g del Cobalto. L’irradiazione
con  fasci esterni comporta sempre il
coinvolgimento nel volume di trattamento di
strutture ossee e dentarie. La moderna tecnica radioterapeutica tuttavia  consente oggi di realizzare volumi di
irradiazione contenuti, in modo da  realizzare
un buon risparmio dei tessuti sani circostanti la neoplasia. Le dosi  curative devono essere sufficientemente
elevate, dell’ordine di 65- 70 Gy. Lo  standard
terapeutico prevede l’adozione di un frazionamento convenzionale  della dose radiante, ovvero una frazione al
giorno, per cinque giorni alla  settimana
per circa sette- otto settimane complessive e, preferibilmente,  continuative. La maggior parte dei
trattamenti può essere condotta in  regime
completamente ambulatoriale. Alla radioterapia si associano effetti  collaterali “tipici” sia acuti
(mucosite, disfagia anche grave) sia tardivi
(xerostomia, in primo luogo). Le complicanze più comuni sono le
alterazioni  dentarie, particolarmente
gravi (fino all’osteonecrosi mandibolare) quando  non si provveda ad un’accurata toilette
dentaria pre- trattamento.  La
radioterapia viene frequentemente impiegata come trattamento  complementare alla chirurgia (radioterapia
post- operatoria). In questa veste  l’irradiazione
si è dimostrata in grado di ridurre l’incidenza delle riprese locoregionali  di malattia. Vi è comunque un generale
consenso sull’applicazione  di tale
strategia nei casi con fattori prognostici sfavorevoli, quali il volume  tumorale, la mancata radicalità macro- o
microscopica, le resezioni marginali  al
tumore, la presenza di metastasi linfonodali multiple o con rottura  capsulare. Dosi e volumi di irradiazione sono
personalizzati, ovvero valutati  di volta
in volta in ragione della situazione post- chirurgica (residuo macro- o  microscopico), dell’estensione probabile
della malattia residua, del rischio di  tossicità.
Quest’ultimo è in genere più elevato rispetto alla sola chirurgia o  alla sola radioterapia. Per tale motivo
l’integrazione della chirurgia con  radioterapia
deve essere limitata a casi accuratamente selezionati sulla  scorta dell’esperienza degli specialisti. 

PROGRAMMAZIONE TERAPEUTICA

Tumore Primitivo 

Neoplasie di limitata estensione (fino a 1,5 cm). Le opzioni terapeutiche sono  la chirurgia e la BRT (laddove disponibile).
La scelta fra le due modalità è  condizionata
dal diametro massimo della lesione, dalla sede e dall’estensione  della componente infiltrante della stessa e
dai rapporti con l’osso. Le  probabilità
di guarigione sono simili per chirurgia e BRT. Poiché è  generalmente possibile una resezione
transorale senza conseguenze  funzionali
significative, il trattamento chirurgico dovrebbe essere  generalmente preferito. La possibilità
dell’esame istologico del pezzo  operatorio
dà inoltre utili informazioni sulla biologia del tumore.  Neoplasie di diametro massimo 1, 5 – 3 cm
e con componente infiltrante <1  cm.
Per
questi tumori, purché con adeguata distanza dall’osso, il risultato  funzionale finale è generalmente migliore con
la BRT, che dovrebbe pertanto  essere il
trattamento di prima scelta. La chirurgia resta riservata a quelle  lesioni situate in posizioni inadatte alla
BRT.  Neoplasie di diametro massimo 3
cm o con componente infiltrante >1 cm.
La  chirurgia è il trattamento di scelta. Il tipo
di intervento necessario varia a  seconda
della posizione ed estensione della neoplasia.
Neoplasie T3- T4. Occorre distinguere fra pazienti operabili ed
inoperabili.  L’operabilità implica in
primo luogo la resecabilità della neoplasia, dove per  resecabilità si intende la possibilità, a
priori valutata da un chirurgo esperto,  di
asportare la malattia in modo macroscopicamente completo, senza  necessità di sacrificare strutture vitali per
il paziente (es. asse vascolare del  collo),
o strutture la cui assenza comporti una qualità di vita inaccettabile.  Anche in presenza di una neoplasia
resecabile, il paziente può risultare  inoperabile
per ragioni mediche che comportino un proibitivo rischio  chirurgico (difficile peraltro valutare il
valore soglia di accettabilità per  questo
rischio in pazienti con una malattia di per sè mortale se non trattata  o trattata in modo inadeguato).  Pazienti operabili. La chirurgia è il
trattamento di scelta, poiché è quello che
indiscutibilmente garantisce le maggiori probabilità di cura.
L’approccio  chirurgico richiede, di
regola, vie combinate e un tempo ricostruttivo con  opportuni lembi deve essere quasi sempre
previsto. È ragionevole proporre  un
trattamento radiante post- operatorio. Nei pazienti inoperabili, il  trattamento chemio- radioterapico associato
(sincrono o alternato) è ritenuto  da
molti il migliore, quando le condizioni del paziente lo consentono. 

COMPONENTE LINFONODALE 

Assenza di adenopatie (cNO) 

Nessun trattamento se possibile un controllo clinico (mensile 1° anno,  bimestrale 2° anno, trimestrale 3° anno, poi
semestrale), nelle situazioni  seguenti:  labbra T1 (T2 secondo es. istologico)  gengiva superiore e palato duro T1, T2  gengiva inferiore T1  pavimento orale T1, se trattato con BRT  lingua T1 se trattato con exeresi transorale
(secondo es. istologico: margini  ecc.)  Trattamento precauzionale in tutti gli
altri casi, 
con
chirurgia (svuotamento funzionale o selettivo) se il T è trattato  con intervento che richieda una via di
accesso transcervicale  (interventi in
monoblocco) oppure se è trattato con BRT,
con ERT (50- 60 Gy in 5- 6 sett. con frazionamento
convenzionale)  se T o il suo letto
richiedono un trattamento con ERT in partenza o
a seguito di intervento chirurgico transorale, 

con eventuale combinazione chirurgia
+ ERT, in casi N + R +.  Presenza di
adenopatie (cN O) 
Trattamento obbligatorio  Con chirurgia (svuotamento radicale o
funzionale) se T operabile in  monoblocco,
con ERT postoperatoria (50-60 Gy in 5- 6 sett.) se N+ R+ o se  >3 pN + R -.  Con ERT (64- 70 Gy in 6- 7 sett.) se T è
trattato con ERT, ed eventuale  chirurgica
di recupero. 

Indicazioni o opzioni terapeutiche: tumore primitivo 

Exeresi t.o. = resezione transorale  Chirurgia = interventi radicali per via
combinata transorale e transcutanea  cervicale,
associati a svuotamento linfonodale. Tra parentesi le terapie di 2  scelta.
# Nelle lesioni più estese rimangono in opzione trattamenti
multidisciplinari  programmati (RT+CT
concomitanti; ERT preoperatoria);  * La
RT postoperatoria è: – obbligatoria se margini positivi o al limite –  suggerita se T3-T4, anche se margini negativi 

RISULTATI E FATTORI PROGNOSTICI

Globalmente, utilizzando al meglio le strategie e le tecniche a
disposizione,  la guarigione locale dei
carcinomi della cavità orale può essere ottenuta oggi  con una frequenza piuttosto elevata (60-
65%). Ovviamente le percentuali  variano
a seconda della sede e della estensione della malattia, con estremi  che vanno dal 95% per i carcinomi T1- T2 del
labbro al 30% per i T4 della  lingua e
del trigono retromolare. La guarigione loco- regionale varia in  funzione della presenza o meno di metastasi
linfonodali e della loro  estensione.
Complessivamente la presenza di metastasi riduce a metà la  probabilità di guarigione globale rispetto
agli stessi casi senza metastasi.  Accanto
a casi a lenta evoluzione esistono anche casi in cui la malattia può  evolvere in modo molto aggressivo e fatale
malgrado la presentazione  iniziale fosse
limitata e apparentemente favorevole.  Le
probabilità di sopravvivenza libera da malattia dipendono anche da altri  fattori. Le metastasi a distanza dei
carcinomi del cavo orale sono  decisamente
rare (10%), salvo dopo ripetute recidive a vari livelli. Per  contro, è elevata la frequenza di
manifestazione di secondi tumori primitivi
(dal 15 al 30% dei casi guariti nella sede del primo tumore). Questi
hanno  localizzazioni varie, tra le quali
prevalgono ancora quelle nel distretto  cervico-
facciale. Se diagnosticati per tempo, possono ancora essere curati e  guariti, con probabilità non lontane da
quelle che avrebbero se fossero  insorti
per primi. Infine la sopravvivenza globale viene ridotta, oltre che  dall’età mediamente avanzata, anche da
fattori di terreno (alcoolismo,  tabagismo,
epatopatie) che si associano assai spesso ai tumori della cavità  orale.

PROGRAMMAZIONE DEI CONTROLLI DOPO IL  TRATTAMENTO

Considerate le possibilità reali di recupero delle recidive locali
e regionali  (circa il 30%) è
indispensabile programmare un calendario di controlli  ravvicinati con intervalli che possono
oscillare fra 1 e 6 mesi durante i primi
5 anni. Le visite di controllo dovrebbero comprendere: 

esame clinico (visita ORL +/- endoscopia) 
ecografia del collo ogni 2-4 mesi per 2 anni 
Rx torace ogni 6-12 mesi  Il controllo dei markers tumorali
sierologici (SCC, Ca, CEA, FP) non ha  alcuna
utilità pratica. Esami particolari (TC, RM, scintigrafia) sono da  richiedere solo in seconda battuta, in casi
dubbi o di manifesta ricaduta. 

PROSPETTIVE FUTURE 

La prevenzione, genericamente di grande importanza in tutte le
neoplasie  delle VADS, può assumere ancor
maggior rilievo a livello del cavo orale nella
sua forma secondaria, attraverso il trattamento e la sorveglianza delle  precancerosi (un terzo dei carcinomi origina
così) e la precocizzazione della  diagnosi.
Il cavo orale è facilmente accessibile all’esame ispettivo e  palpatorio ed è difficile capire perchè
ancora oggi si debbano osservare al  momento
della diagnosi tumori così avanzati quando una diagnosi precoce,  oltre a migliorare notevolmente la prognosi,
consentirebbe sicuramente  anche
trattamenti assai meno aggressivi e menomanti.
Da uno studio accurato la responsabilità del ritardo appare condivisa
tra il  paziente, il medico di prima
consultazione e lo specialista di primo  riferimento,
che spesso non è quello di maggior competenza, cioè quello in  grado di provvedere direttamente al
trattamento ottimale. Nel complesso,  l’intervallo
medio di tempo tra primo sintomo e diagnosi è di 3 mesi, quello  fra 1° sintomo e terapia di 4 mesi. È
doveroso realizzare un programma  volto a
tre obiettivi principali: 
sensibilizzazione
al problema della popolazione 
accelerazione
delle procedure diagnostiche 
identificazione
di Centri di Riferimento  Per quanto
riguarda la terapia, nei centri mondiali più qualificati è stato  raggiunto un livello molto elevato,
difficilmente superabile senza nuove  acquisizioni.
In Italia, tuttavia, i risultati potrebbero ancora migliorare di  molto se i pazienti potessero usufruire
sempre di un trattamento ottimale.

 BIBLIOGRAFIA
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