I tumori maligni della testa e del collo

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1. EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO EPIDEMIOLOGIA DESCRITTIVA
I tumori maligni della testa e del
collo rappresentano, a livello mondiale, circa il 10% dei tumori maligni negli
uomini ed il 4% nelle donne. Le variazioni nella loro incidenza e mortalità
sono molto marcate, con i tassi più elevati in India e Francia settentrionale.
In Italia, nei primi anni novanta, si stima che i nuovi casi di tumore maligno
del cavo orale e faringe siano stati all’anno circa 4.600 negli uomini e 1.300
nelle donne. Le cifre corrispondenti per il carcinoma della laringe sono state
5.000 negli uomini e 300 nelle donne. In Italia i tassi di incidenza sono più
elevati nelle regioni settentrionali rispetto a quelle centro-meridionali e
insulari sia per il carcinoma del cavo orale e della faringe (di circa tre
volte) che per quello della laringe (di circa due volte). A livello epidemiologico non è facile
distinguere accuratamente le differenti sedi del tumore maligno del cavo orale
(lingua, ghiandole salivari, gengive, pavimento della bocca e palato) e della
faringe (orofaringe, rinofaringe e ipofaringe). La Tabella 1, relativa ai dati
del periodo 1988-1992 dei 13 registri dei tumori di popolazione, allora attivi
in Italia, permette di confrontare, attraverso tassi di incidenza grezzi, la
relativa frequenza delle varie sedi. È importante ricordare che, se è vero che
i registri considerati coprono ormai il 15% della popolazione nazionale, il sud
vi è, però, sottorappresentato. I tumori
maligni del cavo orale sono all’anno circa 8,2 per 100.000 negli uomini e 2,8
nelle donne, cioè, rispettivamente, il 25% ed il 53% del totale della testa e
collo. Per la faringe (rinofaringe compresa) i tassi grezzi sono 7,5 per
100.000 negli uomini e 1,5 nelle donne (con un eccesso maschile superiore di
quanto osservato per il cavo orale). La massima differenza tra i due sessi si
conferma per il carcinoma della laringe (19,8 per 100.000 negli uomini e 1,5
nelle donne). Si noti che, come numero, i tumori maligni della lingua e del
resto della bocca all’incirca si equivalgono, mentre i tumori maligni
dell’orofaringe sono circa una volta e mezzo più frequenti di quelli dell’ipofaringe.
Il carcinoma della laringe è più frequente di quello del cavo orale e della
faringe, ma a causa di tendenze opposte negli ultimi vent’anni (in discesa il
primo, in crescita i secondi) tale differenza è in diminuzione. Il successivo esame dei principali fattori di
rischio per i tumori maligni della testa e del collo terrà conto della varietà
delle sedi incluse, trattando separatamente il gruppo cavo orale, faringe e
laringe, la cui eziologia è stata studiata a fondo nel nostro paese ed è
riconducibile in massima parte a fumo e abuso di alcool, e i più rari tumori
maligni del rinofaringe e ghiandole salivari.
FATTORI DI RISCHIO
Cavo orale, Faringe e Laringe
Il fumo rappresenta di gran lunga la causa principale dei tumori
maligni della testa e del collo nei paesi sviluppati. La Tabella 2, tratta da
una serie di studi caso-controllo condotti in Italia, indica che negli uomini
circa l’80% dei tumori maligni del cavo orale, faringe e laringe è attribuibile
al fumo di tabacco e sarebbe evitabile in assenza di questa abitudine. Nelle
donne questa quota è più bassa (42%) per il carcinoma del cavo orale e faringe
a causa della più rara co-presenza di consumi molto elevati di tabacco ed alcolici
nel sesso femminile. Il rischio di
sviluppare uno di questi tumori maligni in soggetti che fumano meno di 15
sigarette al giorno è di 3-4 volte aumentato rispetto ai non fumatori mentre
per livelli di fumo maggiori sale a 9-10 volte. Tale rischio, tuttavia, declina
sostanzialmente circa dieci anni dopo la cessazione del fumo. Per i tumori
maligni del cavo orale l’associazione è forte oltre che con il consumo di
sigarette, con l’uso di pipa e sigari, nonché nelle aree dell’Asia dove
quest’abitudine è diffusa, con la masticazione di betel. Dopo il tabacco, il secondo responsabile
delle neoplasie della testa e del collo è il consumo elevato di bevande
alcoliche. Si tratta, tuttavia, di un’associazione più complessa di quella con
il fumo e più rilevante per cavo orale e faringe che per laringe (percentuale
di tumori maligni attribuibile al consumo di alcool negli uomini 62% e 25%,
rispettivamente, Tabella 2). L’aumento
di rischio nei forti bevitori (più di 8 bicchieri al giorno) è di 2-3 volte per
la laringe, ma di 3-5 per cavo orale e faringe. Soprattutto, per cavo orale e
faringe si verifica, più che per laringe, un’interazione moltiplicativa tra
fumo e alcool, che porta nei soggetti che fumano e bevono a rischi relativi
elevatissimi (50-100). Anche se i tumori maligni della testa e del collo in
soggetti che non hanno mai fumato sono molto rari, aumenti moderati di rischio
sono stati dimostrati anche in forti bevitori non fumatori. Inoltre, il rischio di tumore è proporzionale
alla quantità di etanolo assunta e non dipende dal tipo di bevanda alcolica
(vino, birra o super alcolici) consumata in prevalenza. Molte indagini epidemiologiche, comprese
alcune condotte in Italia, hanno dimostrato che un’alimentazione poco
equilibrata e, soprattutto, povera di verdura e frutta contribuisce
sostanzialmente ad aumentare la probabilità di insorgenza di un tumore maligno
della testa e del collo (quota attribuita circa 15-20% in entrambi i sessi,
Tabella 2). È evidente che l’epitelio delle alte vie digerenti e respiratorie è
tra i più vulnerabili a deficit non ancora ben precisati nell’apporto di varie
sostanze anti-ossidanti. Questa circostanza è molto frequente nei forti
bevitori per i quali un quarto o un terzo delle calorie quotidiane deriva
dall’alcool. Mentre è ben dimostrato l’effetto favorevole di un consumo
abitualmente elevato (>3-4 porzioni al giorno) di verdura e frutta, è ancora
in corso lo studio di agenti chemopreventivi specifici (es. betacarotene)
capaci anche di far regredire lesioni preneoplastiche. Un altro fattore di rischio per i tumori
maligni della testa e del collo è la bassa classe socio-economica di
appartenenza, soprattutto per il tumore maligno del cavo orale. Inoltre, è allo
studio la possibilità che virus, soprattutto alcuni tipi di papillomavirus
umano, possano anche giocare un ruolo importante. Infine, una caratteristica peculiare dei
carcinomi della testa e del collo è la tendenza ad essere accompagnati (5-10%
dei casi) o seguiti (10-20% dei casi entro 5 anni) da un altro carcinoma a
carico della stessa regione o dell’esofago e del polmone. L’alta frequenza di
tumori multipli si spiega con la persistente influenza dei fattori di rischio
coinvolti (soprattutto del fumo) a livello di ampie aree degli epiteli delle
alte vie digerenti e del tratto respiratorio che hanno subito già le prime
trasformazioni preneoplastiche (cosiddetta field cancerization).
Rinofaringe e Ghiandole Salivari I carcinomi della rinofaringe sono rari eccetto che in alcune
popolazioni ben definite quali Cinesi,
Eschimesi, Filippini e abitanti di alcune aree del Nord Africa. Nella aree ad alto rischio, questo
tumore mostra alcune differenze epidemiologiche
rispetto agli altri tumori maligni della testa e del collo: minor eccesso negli uomini rispetto alle
donne, presenza di un picco nell’adolescenza,
associazione con il fumo più modesta. I fattori più importanti nell’insorgenza del carcinoma
della rinofaringe sembrano il virus di
Epstein-Barr (EBV) ed alcune abitudini alimentari (soprattutto il consumo, fin dalla più tenera età, di pesce ed altri
cibi in salamoia). Sui fattori di rischio
del carcinoma della rinofaringe in paesi come l’Italia non si sa praticamente nulla. Anche riguardo all’eziologia dei rari tumori
maligni delle ghiandole salivari, le conoscenze
sono scarsissime. Fumo ed alcool non sembrano importanti, mentre si è ipotizzato un ruolo dell’EBV. Sia
per i tumori maligni della rinofaringe
che delle ghiandole salivari sono state riportate aggregazioni familiari di natura non chiarita.
Cavità Nasali e Paranasali
Tassi di
incidenza di neoplasie in queste sedi significativamente elevati in confronto alla popolazione generale sono
stati riscontrati in lavoratori esposti all’inalazione
di polveri di legno e di cuoio. In particolare, per l’adenocarcinoma i valori sono così elevati
da avere fatto classificare le professioni
che comportano tali inalazioni come esposte a rischio diretto di contrarre la malattia.
DIAGNOSI PRECOCE E SCREENING
Nonostante ci siano molti dati che mostrano frequenti ritardi
nella diagnosi dei tumori maligni del
cavo orale e faringe e un’influenza sfavorevole di questo fenomeno sull’esito del trattamento,
non è chiaro se un programma di
screening sia fattibile ed efficace. Screening per i tumori maligni del cavo orale sono stati condotti in molte centinaia
di migliaia di individui in alcuni paesi
poveri (India e Cuba) ed in migliaia di soggetti ad alto rischio (forti fumatori e bevitori) in paesi sviluppati
(Stati Uniti, Gran Bretagna e Italia). È
stato possibile in tal modo identificare alte percentuali (intorno al
10%) di soggetti con lesioni sospette,
per lo più leucoplachie. Le maggiori difficoltà
sono state incontrate nel follow-up di questi soggetti e nello stabilire
un intervallo realistico tra gli esami
di screening, tenuto conto che la fase preinvasiva
sembra essere abbastanza rapida (intorno a un anno). Ovviamente, l’organizzazione di screening
sarebbe sostanzialmente favorita dalla
scoperta di un test capace di identificare la fase preclinica prima della semplice ispezione visiva del cavo orale.
Inoltre, a causa della frequente multicentricità
delle lesioni preneoplastiche, il controllo chirurgico della malattia sarebbe più difficile per i tumori
maligni del cavo orale e faringe che per
quelli del collo dell’utero e mammella. Per
quanto concerne il carcinoma della laringe, le esperienze di screening sono minori che per cavo orale e faringe, ma
minore è anche il fenomeno del ritardo
diagnostico. Infatti alcuni sintomi, quali la disfonia, portano più precocemente all’osservazione i tumori
maligni della laringe di quelli del cavo
orale.
BIBLIOGRAFIA
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2. ANATOMIA E ISTOLOGIA PATOLOGICA:
CARATTERI GENERALI
DEFINIZIONE DELLE SEDI PRINCIPALI E DEI CONFINI ANATOMICI
La regione della testa e del collo di interesse oncologico mostra
una particolare complessità anatomica: è
importante definirne con precisione le sedi
anatomiche in quanto la localizzazione e l’estensione del processo neoplastico condizionano gli aspetti clinici,
patologici e terapeutici di questa patologia.
Le principali sedi anatomiche considerate sono: labbro, mucosa orale, seni paranasali, faringe, laringe e
ghiandole salivari. Vengono ulteriormente
definite delle sottosedi anatomiche, alcune delle quali di particolare importanza, in quanto aree di
insorgenza di patologia neoplastica specifica. La mucosa orale si estende dal margine
del vermilion labiale alla giunzione palato
duro/molle superiormente e alle papille circumvallate inferiormente e include, come sottosedi, la mucosa buccale,
compreso il trigono retromolare, gli
alveoli e le gengive superiore e inferiore, il palato duro, la lingua e il pavimento della bocca. La struttura muscolo-membranosa della faringe
si estende dalla base del cranio al
bordo inferiore della cartilagine cricoide ed è divisa in tre regioni: rinofaringe, orofaringe ed ipofaringe. La rinofaringe
si estende dalla base del cranio ad
un piano passante per il palato duro; l’orofaringe si estende da un piano passante per il palato duro
superiormente ad un piano passante per
l’osso ioide inferiormente; la giunzione palato duro e palato molle in alto, la linea delle papille circumvallate
anteriormente ed il pilastro palatino anteriore
lateralmente, la separano dalla cavità orale. L’ipofaringe è delimitata superiormente da un piano
orizzontale che passa sul margine superiore
dell’osso ioide e giunge inferiormente al margine inferiore della cartilagine cricoide. In ambito laringeo si distinguono 3
sottosedi: regione sovraglottica,
delimitata superiormente dall’apice dell’epiglottide, dalle pliche ariepiglottiche ed inferiormente da un piano
orizzontale passante attraverso l’apice
del ventricolo; essa comprende l’epiglottide (sia la faccia linguale che laringea) le pliche ariepiglottiche, le
aritenoidi, le corde vocali false ed i ventricoli;
regione glottica, area delimitata superiormente da un piano orizzontale che attraversa l’apice dei
ventricoli ed inferiormente da un piano orizzontale
1 cm distalmente l’apice dei ventricoli; essa comprende le corde vocali vere e le commessure anteriore e
posteriore; regione ipoglottica, delimitata
superiormente da un piano orizzontale passante 1 cm distalmente all’apice dei ventricoli ed inferiormente dal
margine inferiore della cartilagine cricoide. Vanno considerate inoltre le cavità nasali
ed i seni paranasali, in particolare
il seno mascellare ed il seno etmoidale quali sedi possibili , anche se rare, di neoplasie.
CARATTERI GENERALI DEI TUMORI DELLA TESTA E DEL COLLO
Oltre il 90% dei tumori maligni della testa e del collo sono
rappresentati da carcinomi
squamocellulari. Tuttavia, a fronte di questa apparente omogeneità, il comportamento biologico di
questi tumori è notevolmente variabile.
In alcune sedi, quali le cavità nasali, i seni paranasali e la rinofaringe sono frequenti altri istotipi tumorali,
caratterizzati da epidemiologia e storia
naturale diverse da quelle del carcinoma
squamocellulare. Lo sviluppo del carcinoma squamocellulare della testa e
del collo è frequentemente preceduto,
come per i carcinomi squamosi di altre sedi,
da lesioni intraepiteliali precancerose: esse sono riconoscibili, almeno in parte, sia clinicamente sia dal punto di
vista istopatologico; ad esse corrispondono,
a livello genetico e molecolare, alterazioni in parte già identificate.
Pur non essendoci in quest’ambito una classificazione ed una
terminologia univoca, possono essere
individuate, a livello istopatologico, le seguenti lesioni precancerose, con un crescendo
di alterazioni morfologiche e, da un
punto di vista biologico-clinico, di potenzialità evolutive: la cheratosi e la iperplasia squamosa benigna, la displasia da
lieve a severa. Quest’ultima è considerata
anche sinonimo di carcinoma in situ. Le dizioni leucoplachia, eritroplachia e cheratosi palatale sono di
esclusivo uso clinico e non vanno utilizzate
per definire lesioni precancerose. Come carcinoma
squamocellulare microinvasivo si definisce una neoplasia che infiltra lo stroma per pochi
mm: per i carcinomi squamosi della testa
e del collo non vi è tuttavia al momento un accordo su quale debba essere il limite di infiltrazione stromale
per definire la neoplasia microinvasiva
ed è verosimile che tale limite possa essere diverso nelle varie sedi anatomiche della regione test e del
collo. Appare opportuno citare in questo
contesto il concetto di “early cancer” (in genere del distretto
faringolaringeo). La diagnosi di
carcinoma in situ è ristretta a lesioni dell’epitelio che non hanno superato la membrana basale e che,
pertanto, non invadono la lamina propria
e non hanno potenziale metastatico. Per contro, la definizione istopatologica di “early cancer”
descrive una lesione neoplastica minimalmente
invasiva (carcinoma “microinvasivo”) che non si estende alle strutture muscolari o cartilaginee adiacenti,
ma che è già capace di metastatizzare
pur essendo confinata alla lamina propria. In questa sede, infatti, le cellule neoplastiche sono
potenzialmente capaci di invadere i vasi
linfatici ed ematici e, quindi, produrre metastasi linfonodali o a
distanza. Mentre l’infiltrazione muscolare
coincide con un carcinoma infiltrante del tipo
“classico” (profondamente infiltrante), l'”early
cancer” è una lesione superficiale
in termini istopatologici. Una variante
di “early cancer”, definito “carcinoma ad estensione superficiale”, è stata identificata in
sede laringea ed ipofaringea. Si tratta di
un carcinoma invasivo confinato alla lamina propria ed associato ad una ampia esten sione laterale, ma contenuta
nella lamina propria. Invasione linfatica
e metastasi linfonodali possono essere osservate. Il termine di “early cancer”, pertanto, include
sia il “carcinoma ad estensione superficiale” che il carcinoma “microinvasivo”,
nel quale una componente dominante di carcinoma
in situ è associata in genere soltanto ad una componente invasiva focale della lamina propria. Si sottolinea
che in uno stesso campione chirurgico
lesioni multiple di displasia o carcinoma in situ, carcinoma “microinvasivo”; carcinoma ad
“estensione superficiale” e carcinoma del tipo “classico” (profondamente infiltrante)
possono coesistere. La variabilità degli
aspetti macroscopici ed istopatologici del carcinoma squamocellulare è ampia. Tale neoplasia può
presentarsi come lesione ulcerata o
sessile, vegetante o polipoide. Istopatologicamente può essere distinta in gradi di differenziazione in base
alla quantità di cheratina prodotta,
all’atipia degli elementi neoplastici ed al numero di mitosi: usualmente vengono distinti 3 gradi,
bene (G1), moderatamente (G2) e poco
differenziato (G3); appare preferibile non utilizzare il grado 4 o indifferenziato proposto dal TNM, in quanto
queste neoplasie indifferenziate sono
spesso classificabili, con accurato studio, come oncotipi non squamosi. Si ritiene che il grado di differenziazione
possa permettere di distinguere tumori
meno aggressivi rispetto a tumori con maggiore aggressività: tuttavia il grado di corrispondenza fra
differenziazione e comportamento clinico è
limitato. Possibile importanza prognostica viene attribuita anche alle modalità di infiltrazione della
neoplasia – margini espansivi rispetto a
margini infiltrativi – ed alla presenza o meno di risposta dell’ospite
alla neoplasia. Indubbio significato
clinico e prognostico ha la determinazione
dell’estensione della neoplasia, vale a dire la stadiazione patologica,
che viene riassunta nelle categorie TNM. Anche se l’istotipo di gran lunga più
frequente è il carcinoma squamocellulare,
è importante il riconoscimento di alcuni istotipi particolari che hanno storia naturale peculiare e che
necessitano di trattamenti differenziati.
Neoplasie derivanti da ghiandole salivari possono insorgere sia nel cavo orale che, più raramente, in sede
faringea e laringea. Per la loro descrizione
si rimanda alla sezione relativa. Il carcinoma verrucoso è una neoplasia che deve essere differenziata dal
carcinoma squamoso ben differenziato e
da lesioni papillomatose benigne; essa può insorgere in tutte le sedi mucose della testa-collo ed ha
aspetto macroscopico di lesione vegetante,
a cavolfiore, biancastra, friabile: ha crescita espansiva e non metastatizza quasi mai. La diagnosi di
carcinoma verrucoso può essere particolarmente
difficile su piccole biopsie, in quanto le atipie citologiche di questa neoplasia sono assai modeste ed è
necessario che il Patologo abbia a disposizione
un campione significativo che permetta di valutare adeguatamente l’architettura complessiva
della lesione ed in particolare il carattere
espansivo della infiltrazione profonda: è importante in questo caso, come in tutto l’ambito della diagnostica
della patologia dei tumori della testa e
del collo una stretta collaborazione fra clinici e patologi. Il carcinoma basosquamoso è
considerato una variante aggressiva del carcinoma
squamocellulare, con morfologia bifasica: esso ha una marcata e precoce capacità metastatizzante, sia ai
linfonodi regionali sia a distanza. Anche
i carcinomi neuroendocrini possono insorgere in queste sedi anatomiche, in particolare a livello
laringeo: essi sono un gruppo di neoplasie
che vanno da forme ben differenziate, come il carcinoide a prognosi generalmente buona, al carcinoide atipico,
dal comportamento aggressivo, al carcinoma
a piccole cellule, del tutto simile all’analogo tumore polmonare, anche per le caratteristiche cliniche di alta
malignità. Una particolare menzione
meritano i carcinomi della rinofaringe, per le particolarità epidemiologiche, la possibile
associazione con l’infezione da virus di
Epstein-Barr – EBV – ed il decorso clinico. Nella rinofaringe possono insorgere carcinomi non cheratinizzanti e
carcinomi squamocellulari cheratinizzanti.
Il primo gruppo è il più frequente, interessa soggetti anche giovani ed è associato all’infezione da EBV.
La morfologia di questi tumori è peculiare.
Sono descritti due aspetti principali: il primo, detto differenziato, è caratterizzato da elementi epiteliali con
arrangiamento stratificato, con margini
ben definiti, circondati da bande fibrose ed elementi infiammatori; nel secondo, o indifferenziato, gli elementi
epiteliali crescono come sincizio, con
margini indistinti, intimamente frammisti a numerosi elementi linfocitari; questa forma viene chiamata anche, sia pur
impropriamente, linfoepitelioma. Il
carcinoma squamocellulare cheratinizzante della rinofaringe non è associato all’infezione da EBV ed interessa
gruppi di età più avanzata. È nota la
rapida capacità metastatizzante dei carcinomi nasofaringei: linfoadenopatie latero-cervicali metastatiche
sono spesso la prima manifestazione
clinica. Tumori con le caratteristiche morfologiche delle forme non cheratinizzanti del rinofaringe, possono
insorgere, anche se raramente, anche in
altre sedi della testa e del collo, come tonsille, laringe e mucosa orale. Poco frequenti sono i tumori maligni
delle cavità nasali e dei seni paranasali;
l’istotipo più frequente è il carcinoma squamocellulare, ma in tali sedi sono relativamente frequenti anche
adenocarcinomi e carcinomi cosiddetti
transizionali per le similarità morfologiche con le neoplasie uroteliali. Va tenuto presente infine che nelle
varie sedi della testa e del collo sono
state descritte numerose altre forme neoplastiche sia epiteliali sia mesenchimali, di cui è importante il
riconoscimento perché spesso tali differenti
istotipi hanno peculiarità cliniche e terapeutiche. Un fenomeno particolarmente frequente nelle
sedi anatomiche della testa e del collo
è l’insorgenza di carcinomi multipli. Essi possono evidenziarsi contemporaneamente – sincroni -,
oppure manifestarsi a distanza di tempo,
anche molti anni, dal trattamento del tumore principale – metacroni -.
La distinzione fra neoplasie multiple e
neoplasia recidiva o metastatica ha notevole
valenza terapeutica e prognostica: essa è tuttavia difficile in quanto, trattandosi quasi sempre di carcinomi
squamocellulari, con morfologia
similare, l’istopatologia non aiuta a stabilire quale delle neoplasie sia da considerare come lesione primitiva;
solo l’utilizzo di tecniche molecolari
con l’uso di marcatori di clonalità può permettere di individuare correttamente l’origine dei carcinomi
multipli.
MODALITÀ DI CRESCITA E DIFFUSIONE
Come tutte le neoplasie maligne, anche quelle della testa e del
collo possono accrescersi in vario modo;
la crescita espansiva è poco frequente, e
caratterizza essenzialmente alcuni tumori di origine ghiandolare, come
il carcinoma adenoide cistico e quello
mucoepidermoide. La stragrande maggioranza
dei tumori maligni manifesta peraltro precoce tendenza infiltrativa, più o meno marcata, nei
confronti delle strutture circostanti. Il
carcinoma squamoso, protagonista assoluto, nelle sue varietà, della patologia neoplastica del distretto, è
tipicamente infiltrante nella grande maggioranza
dei casi già nelle sue manifestazioni iniziali. L’infiltrazione raggiunge rapidamente la ricca rete linfatica
sottomucosa del distretto, aprendo la
strada alla colonizzazione dell’altrettanto ricca dotazione di linfonodi del collo. Per ragioni ancora non
completamente chiarite (azione di filtro?
reazioni immunitarie? minore capacità intrinseca delle cellule epiteliali neoplastiche migrate di impiantarsi?) a
questa diffusione piuttosto precoce e ricca
non si accompagna una elevata tendenza alla diffusione a distanza per via ematica, se non in fasi tardive.
Metastasi a distanza presenti all’atto della
diagnosi sono una rarità e la loro manifestazione successiva, nei
pazienti guariti loco-regionalmente, non
supera il 25% dei casi, neppure nelle forme
meno differenziate (rinofaringe, tonsilla). Valori superiori (30%-38%)
sono riscontrabili soltanto in casi con
cospicuo interessamento linfonodale. La
diffusione linfatica rappresenta dunque una caratteristica modalità di progressione dei carcinomi cervico-facciali e
in particolare del carcinoma squamoso.
La sua frequenza e importanza varia da localizzazione a localizzazione del tumore primitivo e aumenta
con la dedifferenziazione istologica e
con il grado di alcune caratteristiche di progressione locale (fronte di invasione, spessore, invasione
perineurale e vascolare, neoangiogenesi,
ecc.). La diffusione nella rete linfatica segue itinerari precostituiti ed avviene in genere per tappe
successive (livelli) anche se non mancano
salti di stazioni. Il carcinoma
squamoso, una volta colonizzati i linfonodi, tende a riprodurre in essi gli atteggiamenti invasivi del tumore
primitivo (infiltrazione e rottura della
capsula, estrinsecazione nei tessuti circostanti). Questo comportamento diviene determinante nelle adenopatie più
voluminose, ma può essere già evidente
in piccole adenopatie, persino inferiori al centimetro.
RUOLO DEL PATOLOGO
Il Patologo ha un ruolo molto importante nella diagnostica e nella
definizione delle caratteristiche
istomorfologiche e biologiche utili nella programmazione terapeutica e nella formulazione prognostica
delle neoplasie della testa e del collo.
Per poter svolgere nel modo ottimale questo ruolo è di fondamentale importanza una stretta collaborazione fra
Clinico e Patologo. Va posta particolare
cura nell’esame dei campioni operatori. È compito del Patologo effettuare una accurata stadiazione
patologica: per svolgere al meglio questo
compito è preferibile l’invio del campione operatorio a fresco,
corredato delle informazioni cliniche di
possibile utilità: questo permetterà anche la
possibilità di effettuare prelievi della neoplasia da mantenere
congelati per indagini a livello
molecolare. Il referto istopatologico
relativo ad un campione operatorio per neoplasia deve contenere una precisa descrizione
macroscopica, con l’indicazione delle sedi
anatomiche comprese nel campione operatorio, le dimensioni e le caratteristiche di tutti i campioni ricevuti,
la sede del tumore, con descrizione delle
strutture anatomiche coinvolte, la descrizione della neoplasia con le sue dimensioni, la descrizione dello svuotamento
linfonodale laterocervicale se effettuato,
con il numero e le dimensioni dei linfonodi presenti e l’eventuale interessamento delle strutture adiacenti,
quali la ghiandola sottomandibolare, il
muscolo sternocleidomastoideo, la vena giugulare. Nella sezione microscopica/diagnostica vanno poi
indicati il tipo istologico del tumore,
il grado di differenziazione, l’estensione del tumore; vanno anche segnalate la presenza/assenza di invasione
vascolare e perineurale e l’infiltrazione
di strutture anatomiche specifiche per le varie sedi. Importante è precisare l’interessamento o meno dei
margini di resezione e la distanza della
neoplasia dai margini chirurgici. Può essere utile, anche se la loro valenza a fini prognostici non è ancora
determinata, descrivere i caratteri dei rapporti
neoplasia-stroma, estensione e localizzazione di alterazioni displastiche/carcinoma in situ, il tipo e la
densità dell’infiltrato infiammatorio, la
valutazione dell’attività proliferativa (conta mitotica o altri marcatori di attività proliferativa). Particolare
attenzione va infine posta nella individuazione
della presenza di metastasi linfonodali: vanno riportate le dimensioni dei linfonodi metastatici, il
numero dei linfonodi interessati, il livello
di interessamento linfonodale, la presenza o meno di estensione extranodale (per rottura capsulare), ed
eventuale interessamento del muscolo
scheletrico e della vena giugulare.
Classificazione istologica dei tumori epiteliali maligni della
laringe, ipofaringe e trachea secondo
WHO (Shanmugaratnam, 1991)
– Carcinoma
Squamocellulare – Carcinoma squamoso verrucoso
– carcinoma a cellule fusate – Carcinoma squamoso adenoideo – Carcinoma basosquamoso * – Adenocarcinoma – Carcinoma a cellule chiare – Carcinoma adenosquamoso – Carcinoma a cellule giganti * – Carcinoide – Carcinoide atipico – Carcinoma a piccole
cellule * – Carcinoma linfoepiteliale *
– Carcinoma a cellule aciniche –
Carcinoma epi-mioepiteliale – Carcinoma mucoepidermoide – Carcinoma adenoide cistico – Carcinoma in
adenoma pleoformo – Carcinoma dei dotti
salivari * Istotipi a maggiore aggressività
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3. CARATTERIZZAZIONE BIOLOGICA
La prognosi dei pazienti affetti da carcinoma squamocellulare
della testa e del collo non è
significativamente migliorata negli ultimi anni nonostante il potenziamento dei mezzi diagnostici e degli
approcci terapeutici. Tale insuccesso
clinico deriva essenzialmente dalla marcata eterogeneità del comportamento biologico di questi tumori,
conseguente all’accumulo, da parte di un
clone cellulare, di mutazioni geniche multiple, frequentemente diverse da tumore a tumore. È pertanto
l’effetto combinato, non solo sommatorio,
delle diverse e molteplici alterazioni geniche che conferisce al clone tumorale le specifiche proprietà
biologiche, mentre pressoché nessuna alterazione
singolarmente ha un effetto preponderante nel determinare tali proprietà.
Da ciò derivano i limitati risultati, finora ottenuti da studi condotti
su casistiche cliniche molto eterogenee,
sul significato clinico dei markers biologici,
cellulari e molecolari, nel carcinoma squamocellulare della testa e del collo. Un approfondimento delle
conoscenze sulla biologia delle cellule tumorali
ed una stretta integrazione fra ricercatori clinici e sperimentali potranno in futuro produrre risultati più
rilevanti e verificare il reale significato
clinico delle diverse variabili biologiche in casistiche di pazienti omogenee e di dimensioni adeguate. Anche il possibile ruolo della
predisposizione genetica, suggerito sia dall’aumentata
incidenza di questi tumori nei familiari di soggetti colpiti da carcinoma squamocellulare della testa e del
collo, sia dalla predisposizione di un’ampia
percentuale di pazienti (10-40%) a sviluppare secondi tumori, la cui distribuzione anatomica riflette il
concetto della cancerogenesi di campo (field
cancerization), potrà trovare risposta solo da una più organica integrazione tra ricercatori clinici e
sperimentali mirata ad una più precisa caratterizzazione
clinico-anamnestica dei pazienti su cui focalizzare le indagini genetico-molecolari. La ricerca e lo studio di markers biologici
fenotipici e funzionali con prospettive
clinico-applicative si è posta come scopo l’acquisizione di informazioni di base per meglio conoscere e
comprendere la storia naturale preclinica
e clinica del tumore, senza trascurare gli aspetti applicativi relativi all’identificazione di indicatori prognostici
e di indicatori di risposta ai diversi tipi
di trattamento locale o sistemico.
PLOIDIA
Durante successive moltiplicazioni l’instabilità genetica delle
cellule tumorali si traduce in anomalie
qualitative e quantitative dell’assetto cromosomico, con variazioni del contenuto totale di DNA
nucleare. La determinazione di questo
aspetto ha ricevuto grande impulso con l’introduzione delle metodiche di citometria a flusso che valutano
quantitativamente e automaticamente il
contenuto di DNA in un numero elevato di cellule in un tempo molto breve. Circa il 50% dei carcinomi
squamocellulari presenta profonde alterazioni
nel contenuto di DNA rispetto al contenuto normale diploide. Ciò chiaramente indica che profonde
alterazioni geniche sono avvenute a
carico della cellula tumorale.
PROLIFERAZIONE CELLULARE
Le conoscenze di base sul ciclo cellulare hanno permesso
l’applicazione di diversi approcci
miranti a quantificare 1) la frazione di cellule in fase di sintesi di DNA (fase S); 2) l’intera frazione
di cellule proliferanti. I diversi approcci
sono basati su diversi razionali quali l’incorporazione attiva in cellule vitali di precursori del DNA
(timidina triziata, TLI, o bromodesossiuridina
BrdULI), con rilevazione autoradiografica e
immunocitochimica su tessuto o in immunofluorescenza su cellule in sospensione, o la quantificazione del
contenuto di DNA citofluorometrico, per la
determinazione della frazione di cellule in fase S. Per la determinazione della frazione di crescita si fa ricorso
invece alla rilevazione di enzimi (DNApolimerasi, timidino-chinasi) o di antigeni presenti
nelle cellule proliferanti (Ki-67,
MIB-1, PCNA) o di proteine associate alle regioni organizzatrici del nucleolo (AgNORs). Mediante alcune di queste
determinazioni si può valutare il tempo
potenziale di raddoppiamento (Tpot) del tumore, che non rispecchia necessariamente il reale tempo di
duplicazione, essendo questo influenzato
anche dalla perdita cellulare spontanea per necrosi e/o apoptosi. Dai numerosi studi condotti valutando i
diversi marcatori di proliferazione, chiaramente
emerge che i carcinomi squamocellulari della testa e del collo sono un istotipo ad elevata proliferazione
(TLI=14%, PCNA=50%), anche se un’ampia
variabilità di valori è osservabile da tumore a tumore.
ALTERAZIONI GENICHE
L’avvento delle metodiche di biologia molecolare ha aperto la possibilità
di approfondire i meccanismi che
sottendono alla deregolazione della proliferazione
e ha portato all’identificazione di oncogeni e geni oncosoppressori. Il gene oncosoppressore P53
è il più diffusamente mutato nei tumori
umani ed anche il più studiato per il suo supposto coinvolgimento in diverse funzioni tra cui la regolazione
del ciclo cellulare e il processo di morte
programmata o apoptosi. Sono stati oggetto di studio sia le mutazioni di P53, utilizzando tecniche di
sequenziamento, sia l’espressione della proteina
p53 codificata dal gene, mediante tecnica immunocitochimica Dai diversi autori, viene riportata nei carcinomi
squamocellulari della testa e del collo
un’elevata frequenza di mutazioni del gene (60-70%) e di overespressione della proteina (50-80%).
Inoltre, sia le mutazioni che l’iperespressione
compaiono precocemente nelle lesioni precancerose. Notevole attenzione è stata rivolta alle
alterazioni di geni che regolano l’apoptosi
ed in particolare al bcl-2, un gene che codifica per una proteina di membrana la cui espressione previene la morte
programmata. La disponibilità di
anticorpi in grado di rilevare l’espressione di bcl-2 su materiale d’archivio ha consentito la
caratterizzazione di questi aspetti molecolari
su vaste casistiche di tumori. In particolare, nei carcinomi squamocellulari della testa e del collo è
stata osservata una frequenza di tumori
che esprimono bcl-2 dal 18% al 36%. Tale variabilità è dovuta sia all’eterogeneità delle casistiche che all’uso
di anticorpi che riconoscono epitopi
differenti della proteina.
ALTRI MARKERS
Nell’ambito degli studi volti a definire il fenotipo di resistenza
multipla delle cellule tumorali, come
già riscontrato in cellule resistenti agli agenti alchilanti, è stata descritta un’aumentata
attività dei sistemi di detossificazione
cellulare e, in particolare, un aumento dei livelli di metallotionine, glutatione ed enzimi relati.
Interessanti risultati stanno emergendo
sul ruolo della glutation-transferasi. Tale enzima, soprattutto nelle isoforme a e p, grazie alla sua
attività perossidasica svolge un ruolo di
detossificazione cellulare degli idroperossidi, proteggendo la cellula
dallo stress ossidativo delle radiazioni
ionizzanti.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
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4. FATTORI PROGNOSTICI
Il fattore prognostico ideale dovrebbe fornire informazioni sul comportamento biologico del tumore, così da
poterne prevedere l’evolutività e la
risposta alle varie opzioni terapeutiche; in questo modo si potrebbe definire la strategia terapeutica e lo schema
di follow-up ottimali, basandosi sull’aggressività
di ogni singola neoplasia. Ovviamente gli esami di laboratorio o clinici necessari per ottenere
queste informazioni dovrebbero essere di
facile esecuzione e poco costosi. Attualmente non è disponibile alcun fattore clinico o biologico che
risponda a tutti i suddetti requisiti: alcuni
fattori comunque permettono di ottenere informazioni importanti, anche
se frammentarie. Nonostante il crescente
interesse della comunità scientifica internazionale
per i fattori prognostici in generale e per quelli dei tumori della testa e del collo in particolare, c’è
ancora una notevole confusione riguardo
al loro significato ed alle possibili applicazioni nell’ambito clinico: non è sempre chiaro quale valore sia
rilevante, quando debba essere determinante
e in che modo debba influire sulle scelte terapeutiche del medico.
Esiste ancora oggi notevole confusione terminologica, ma anche
sostanziale, sul significato di fattore
prognostico; spesso i termini fattore di rischio, prognostico, predittivo, marker, biomarker,
intermediate end point sono utilizzati
come sinonimi. In realtà essi hanno differenti significati, anche se spesso uno stesso fattore può far parte di
diverse categorie. Il processo di cancerogenesi
nei tumori delle vie aeree e digestive superiori è multifasico ed ognuno dei suddetti fattori può essere
indicativo di una o più fasi. Esistono
fattori di rischio di comparsa di una neoplasia (familiarità, sesso, abitudini voluttuarie, leucoplachia,
displasia, citocheratine), fattori diagnostici
che consentono la diagnosi precoce di una neoplasia o di una recidiva, fattori prognostici in grado di
predire l’evoluzione loco-regionale della
neoplasia, cioè di definire la sua aggressività biologica (familiarità, sesso, abitudini voluttuarie, stadio clinico
e patologico di T ed N, angiogenesi,
fattori molecolari e cellulari) ed infine fattori predittivi sulla responsività ad una terapia (stadio clinico e
patologico, angiogenesi, fattori molecolari
e cellulari). Secondo quanto suggerito da Wennenberg i fattori con rilevanza clinica possono essere
classificati in fattori relativi al paziente
(età, sesso, performance status, familiarità), al tumore (sito,
estensione di T, numero e livello dei
linfonodi metastatici, istopatologia, marcatori cellulari e molecolari) e al trattamento. In questo contesto viene fatta una analisi
critica dei risultati recentemente sui
fattori prognostici e predittivi nell’ambito dei tumori della testa e del collo negli ultimi 5 anni. L’analisi è stata
limitata agli studi condotti su a) casistiche
superiori a 100 pazienti per gli studi retrospettivi, e superiori a 50 in quelli prospettici; b) con almeno due anni
di follow-up (medio) per il controllo
loco-regionale della malattia, cinque anni per la sopravvivenza; c) con analisi statistica multivariata dei
risultati; d) e con una concordanza tra i
risultati ottenuti da autori di nazioni diverse per ridurre eventuali
fattori confondenti geografici,
culturali ed epidemiologici (quest’ultimo criterio implica che si sono tenuti in considerazione
solo quei fattori analizzati in più articoli
provenienti da nazioni diverse). Successivamente è stata analizzata la significatività di ciascuno di questi
fattori nel prevedere la sopravvivenza, il
controllo loco-regionale e la risposta alla terapia (secondo lo scopo specificato in ogni lavoro). Tra le caratteristiche proprie del paziente
l’età > 60 anni, il sesso maschile
e un basso grado di performance status sono indicatori di prognosi sfavorevole in tutti gli studi. La familiarità
positiva per neoplasie è emersa come
fattore predittivo per lo sviluppo di un tumore del distretto cervicofacciale solo in alcuni degli studi analizzati. I fattori relazionati al tumore sono
stati suddivisi in due classi: stadiazione
clinica pre-terapeutica (dimensione del tumore, T e stato linfonodale,
N) e stadiazione postoperatoria. La
prima fornisce informazioni riguardo al tumore
primitivo e al grado di coinvolgimento linfonodale (più specificamente le dimensioni e la posizione
del tumore, l’infiltrazione dei tessuti
molli, l’invasione ossea, il numero e il livello dei linfonodi clinicamente positivi). Dall’analisi è emerso che T e N
sono fattori prognostici indipendenti fortemente
predittivi dell’andamento della neoplasia; la sede del tumore è il fattore prognostico più importante fra quelli
dipendenti da T, mentre il numero e il
livello dei linfonodi metastatici sono i fattori prognostici indipendenti più rilevanti tra quelli
correlati ad N. Per esempio nei carcinomi
orali e orofaringei, linfonodi metastatici multipli, particolarmente
quando situati a bassi livelli (IV-V)
sono indicativi di una prognosi sfavorevole sia in termini di controllo locoregionale che di
sopravvivenza. La stadiazione postoperatoria
comprende informazioni sui margini di resezione, la profondità dell’infiltrazione neoplastica, il
grado di invasione dei vasi sanguigni,
l’infiltrazione perineurale, così come le dimensioni e il numero dei linfonodi metastatici e il loro grado di
coinvolgimento (rottura capsulare, emboli
linfatici, etc.). Nuovamente il numero e il livello dei linfonodi interessati sono i fattori prognostici
indipendenti più significativi. Alcune caratteristiche
patologiche, quali ad esempio la rottura capsulare, sono invece risultate significative solo nelle
analisi univariate. Tra i fattori
patologici, la differenziazione del tumore (grading), la ploidia, l’indice mitotico e l’angiogenesi (usualmente
considerati indici biologici dell’aggressività
della malattia) così come i margini di resezione, sono risultati fattori prognostici significativi
solo in alcuni lavori. Generalmente questi
fattori sono stati analizzati in studi prospettici su casistiche limitate o con un breve follow-up; tuttavia essi sono
stati valutati come significativi anche
in alcuni studi retrospettivi su casistiche numerose e con un follow-up superiore a 5 anni. I risultati dei lavori che hanno indagato i fattori
biologici secondo i criteri sopra
riportati sono scarsi, mentre dall’analisi della letteratura emergono numerosi lavori che pur non rispondendo ai
criteri di selezione utilizzati per questa
analisi, generalmente per il limitato numero di pazienti analizzato o per il follow-up troppo breve, meritano di
essere ricordati per le potenzialità del
biomarcatore indagato. Infatti, marcatori quali ploidia e proliferazione cellulare, che riflettono proprietà conferite
al clone cellulare dall’effetto combinato
di alterazioni multiple, hanno dimostrato una rilevanza prognostica e quindi sono di particolare
interesse clinico, mentre minore e spesso
discordante appare il significato prognostico di alterazioni di singoli geni. Ploidia:
è stato dimostrato che i tumori aneuploidi (con anomalie nel contenuto di DNA) sono a crescita più rapida
e presentano una maggior frequenza di
recidive dopo chirurgia non radicale. Per contro, tali tumori presentano una più spiccata sensibilità ai
trattamenti radio-chemioterapici con
maggiore frequenza di remissione clinica e/o patologica. Proliferazione cellulare: i marcatori
fino ad ora valutati si sono dimostrati scarsamente
indicativi di aggressività biologica o di comparsa di recidive in pazienti trattati con chirurgia radicale. Per
contro, si sono dimostrati significativamente
predittivi di risposta al trattamento radioterapico. Inoltre decrementi del valore di questi parametri in
corso di terapia sono indicatori precoci
di prognosi più favorevole. Infine dati preliminari sembrano evidenziare come nei tumori a rapida
proliferazione le associazioni chemioradioterapiche sincrone siano più efficaci di schemi
sequenziali. La conferma delle
correlazioni fra proliferazione cellulare e prognosi sarebbe di estrema utilità clinica: infatti per i carcinomi ad
elevata frazione proliferante si potrebbe
consigliare al chirurgo l’adozione di terapie adiuvanti complementari, al radioterapista l’adozione
di frazionamenti accelerati o iperfrazionati,
o di associazioni concomitanti di chemio-radioterapia. Alterazioni geniche: come sopra
menzionato, gli studi finora condotti sul
significato prognostico di specifiche alterazioni geniche non hanno
prodotto risultati di sicura utilità
clinica ed è pertanto essenziale che futuri studi siano rivolti a valutazioni multiparametriche su
casistiche più accuratamente selezionate
e con approcci clinico-sperimentali più integrati. Vanno però ricordati i risultati sul possibile utilizzo
diagnostico di specifiche alterazioni geniche
quali le mutazioni di P53 che appaiono utili nella rilevazione di persistenza del clone tumorale in margini di
resezione istologicamente negativi e
nell’accertare l’invasione metastatica in linfonodi istologicamente negativi. Inoltre mutazioni di P53 si sono
dimostrati efficaci marcatori di clonalità
tumorale, capaci di discriminare obiettivamente fra metastasi e/o ricorrenza di malattia e secondo tumore
primitivo nei carcinomi a cellule squamose
della testa e del collo. Altri
markers: promettenti risultati appaiono emergere dalla determinazione dei livelli dell’enzima
glutationtransferasi-p (GST-p). Infatti, da studi preliminari in pazienti con carcinoma
squamocellulare del cavo orale randomizzati
per sola chirurgia o per trattamento chemioterapico neoadiuvante con CDDP e 5-FU, l’espressione
di GST-p appare essere indicativa di
risposta al trattamento chemioterapico. Inoltre, l’espressione di GST-p si rivela un predittore di risposta
clinica e di sopravvivenza in pazienti con
carcinoma avanzato del cavo orale e dell’orofaringe sottoposti in prima istanza a trattamento radiante convenzionale.
Infine risultati recenti sembrerebbero
indicare l’espressione della proteina anti-apoptotica Bcl-2 nei carcinomi T1-2 NO quale indicatore di scarsa
risposta alla terapia standard. Ulteriori
studi sono peraltro richiesti prima di poter introdurre l’uso di questi marcatori biologici nei protocolli clinici di
terapia dei carcinomi squamocellulari
della testa e del collo.
LINEE GUIDA
Tra i fattori relazionati al paziente, la familiarità sembra
meritare ulteriori indagini: studi
condotti in Brasile, in Europa e negli USA segnalano un aumento del rischio di sviluppare tumori del
distretto cervico-facciale nei soggetti
con parente che ha avuto un carcinoma spinocellulare orale o faringo-laringeo. Il rischio è
considerevolmente aumentato nei fratelli del
paziente e rimane statisticamente significativo anche quando corretto in base all’età, al sesso, al consumo di alcool
o di tabacco. Questi dati suggeriscono
una suscettibilità genetica per lo sviluppo dei tumori della testa e del collo: qualora ulteriori lavori
confermassero questa ipotesi di familiarità,
gli attuali indirizzi nel campo della diagnosi precoce richiederebbero di essere riconsiderati. Attualmente, i dati ottenuti dalla
valutazione clinica e anatomo-patologica
del tumore forniscono le informazioni più significative sulla prognosi.
Da questa considerazione consegue che
essi dovrebbero essere sempre valutati nella
stadiazione clinica e nella programmazione terapeutica e che dovrebbero essere sempre segnalati nella
cartella clinica del paziente. In genere
i fattori clinici e patologici sono risultati significativamente predittivi; tuttavia l’analisi della letteratura rivela
che alcuni fattori generalmente considerati
come sicuramente indicativi di prognosi severa, in realtà hanno una rilevanza minore rispetto a quanto
generalmente ritenuto. È il caso della rottura
capsulare dei linfonodi metastatici, il cui significato prognostico è messo in discussione da alcuni autori. Questo
è verosimilmente da ricondurre a
selezioni delle casistiche o a varianti terapeutiche. Rimane comunque la necessità di una più rigorosa
valutazione del loro effettivo significato.
Anche i fattori patologici meritano di essere ulteriormente studiati perché ad esempio determinazioni prospettiche
su casistiche retrospettivamente
analizzate non sono sempre adeguatamente sensibili e significative; inoltre le nuove tecniche non
ben standardizzate non sono sempre
riproducibili giustificando risultati talora contrastanti fra i vari laboratori. Infine alcuni fattori biologici e
molecolari, promettenti su piccole serie
di pazienti, meritano di essere studiati e devono essere validati attraverso studi su casistiche di dimensioni
adeguate. Tra i più studiati sono overespressione
e mutazione della p53, livelli serici di IL-2, EGFr, riarrangiamenti genici. Per quanto riguarda la predittività della
risposta alle varie terapie solo pochi fattori
si sono oggi rivelati affidabili; questo può essere dovuto al fatto che prelievi bioptici su cui vengono condotte le
determinazioni non sono adeguatamente
rappresentativi della eterogeneità cellulare della neoplasia. Sulla base di questa analisi e delle
considerazioni sopra esposte si può proporre
una classificazione dei fattori prognostici delle neoplasie della testa e del collo per il loro impiego nella pratica
clinica (Tabella 1): a)
Fattori sicuramente significativi: sono riconosciuti come affidabili e predittivi della progressione della neoplasia
da tutti gli autori e devono essere
sempre valutati e segnalati nelle cartelle cliniche; b) Fattori probabilmente significativi: meritano
ulteriori valutazioni e dovrebbero
essere sempre valutati e validati in studi clinici; c) Fattori biologici sperimentali: da
valutare e validare in clinica, ma solo in
studi di fase I o II in centri specializzati.
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5. ITER
DIAGNOSTICI
La diagnosi è fondata sull’accertamento della neoplasia, sulla valutazione della sua estensione locale, regionale
(linfatica) e a distanza, nonché sulla esclusione
della possibile presenza di altre neoplasie concomitanti, sia localmente (multifocalità) che in sedi
limitrofe (malattia di distretto).
TUMORE PRIMITIVO
Diagnosi di natura
È fondata sull’esame istologico, di realizzazione più o meno
facile a seconda della localizzazione
della neoplasia. In condizioni di maggiore difficoltà è accettabile l’esame citologico il cui valore
assoluto è meno affidabile perché condizionato
da fattori di contorno. Nelle lesioni facilmente accessibili è sempre raccomandabile che il prelievo
bioptico sia parziale ed eseguito sui margini
senza alterare le caratteristiche macroscopiche della certa o presunta neoplasia, onde consentire dopo la
diagnosi l’esecuzione del trattamento
più adeguato. Nelle lesioni limitate vanno
proscritte le “biopsie exeresi”, a meno che non vengano eseguite con margini in tessuto sano
tali da assicurare la radicalità nel
caso che la diagnosi confermi la natura neoplastica della lesione. In caso contrario la precarietà dei limiti di
radicalità solleva spesso problemi di scelta
del successivo trattamento causale più indicato. La diagnosi di natura formulata dal patologo deve essere integrata
da indicazioni sul grado di malignità e,
in caso di biopsia-exeresi, sullo stato dei margini di resezione. Ulteriori informazioni concorreranno a
formulare, in caso di trattamento chirurgico,
la stadiazione patologica.
Diagnosi di estensione
È essenziale per la stadiazione (tumore primitivo T,
diffusione linfatica N, metastasi a
distanza M) e per la programmazione terapeutica. I mezzi per la sua formulazione vanno dai più semplici
(esame clinico) ai più sofisticati (esami
endoscopici, esami radiografici, ecografia, TC, RM, scintigrafia, arteriografia, esami cito-istologici), in
rapporto all’estensione loco-regionale della
malattia e alla sede della neoplasia primaria. Il primo approccio è necessariamente clinico e strumentale
(endoscopia). Esami più approfonditi ne
sono la conseguente espansione, più o meno necessaria a seconda dei dubbi clinici e del tipo di terapia
programmabile. Non esiste un protocollo standard
valido per tutte le localizzazioni, dovendosi anche tenere conto del rapporto costi/benefici, che può assumere nel
contesto valori molto elevati. Poiché
anche la stadiazione varia secondo la localizzazione della neoplasia primitiva, i protocolli diagnostici vengono
illustrati sede per sede assieme a quelli
terapeutici. Esistono tuttavia alcune caratteristiche comuni a gran parte della patologia oncologica del
distretto cervico-facciale che meritano una
trattazione unitaria: 1. diffusione per
via linfatica e i mezzi per la sua valutazione;
2. possibilità, in genere ridotta, di metastasi a distanza con frequenza variabile secondo la sede di origine e
l’istologia; 3. frequenza di seconde
neoplasie concomitanti e la loro ricerca;
4. possibilità di riscontro di linfoadenopatie metastatiche cervicali in assenza di una neoplasia primitiva
identificabile.
DIFFUSIONE PER VIA LINFATICA
I protocolli diagnostici variano a seconda della presenza o
assenza di adenopatie clinicamente
apprezzabili.
Assenza di linfoadenopatie cliniche
Nello studio delle aree di drenaggio linfatico non esiste alcun
mezzo per riscontrare la presenza di
metastasi che si avvicini all’esame istologico.
Anche questo peraltro non va esente da limiti di sicurezza, che derivano
dal campionamento e dal numero di
sezioni ragionevolmente possibili sull’intera
rete (linfonodi e vasi linfatici). È evidente che la stadiazione più
precisa può essere ottenuta solo laddove
l’intera rete di drenaggio viene rimossa
chirurgicamente e sottoposta per intero all’esame. Già la definizione di interezza ha i suoi limiti nel modo in cui il
chirurgo esegue la dissezione (vedi gli
svuotamenti selettivi oggi sempre più diffusi) e ne ha altri nel modo in cui il patologo procede all’esame del pezzo
operatorio (numero e tipo di sezioni per
linfonodo, numero dei linfonodi esaminati, esame dei tessuti perilinfonodali). Pur consapevoli di tutte
queste limitazioni, è necessario assumere
l’esame istologico come termine massimo di giudizio. Tutte le altre valutazioni, cliniche o strumentali, sono
soggette a limiti di attendibilità assai
maggiori, con la massima frequenza nel caso di assenza di
linfoadenopatie apprezzabili (N0).
L’esame clinico-palpatorio
è indubbiamente il più semplice, rapido ed economico. Esso è tuttavia soggiacente a
valutazioni di attendibilità consistenti.
Studi accurati hanno dimostrato che la sensibilità e specificità di questo esame, confrontate con i riscontri
istologici definitivi, hanno limiti variabili
cospicui. I falsi negativi sono dipendenti dalla capacità ed esperienza dell’esaminatore ma anche da altri fattori in
rapporto alla effettiva accessibilità
delle strutture linfatiche alla palpazione (profondità delle formazioni da esaminare, anatomia del collo,
ecc.). Gli apprezzamenti falsi positivi
(adenopatie palpabili più o meno sospette ma non sede di metastasi) hanno un peso limitato sulla significatività
della metodica, relativamente importante
in alcune sedi (regione sotto-mandibolare per la presenza della ghiandola salivare). I falsi negativi sono
più frequenti ed assommano globalmente
ad un 20% dei casi (cN0/pN+) con differenze significative in rapporto alla sede delle adenopatie e a
quella del tumore primitivo.
Esami strumentali
progressivamente introdotti nella pratica clinica sono: •
ecotomografia con ultrasuoni (ECO) •
tomografia computerizzata (TC) •
risonanza magnetica nucleare (RM) •
citologia per agoaspirato con ago
sottile (FNAC) L’esame più sensibile,
rapido, semplice, innocuo ed economico è l’ECO. I suoi limiti sono costituiti dal fatto che
l’ecostruttura intraghiandolare non permette
in modo specifico una differenziazione fra ipertrofia reattiva ed invasione tumorale. Per questo esame i
criteri specifici di valutazione per la presunzione
di invasione neoplastica sono: • dimensioni
superiori a 1 cm • forma
sferica • ipoecogenicità
TC e RM
sono esami correntemente utilizzati per la diagnosi di estensione del tumore primitivo del distretto
cervico-facciale a localizzazione profonda e
nei casi mediamente avanzati (T2, T3, T4.). In queste situazioni essi
valgono anche per una valutazione della
rete linfatica. Criteri per giudicare probabile
l’interessamento neoplastico linfonodale validi per tutte le metodiche
di imaging, sono: •
forma sferica; •
diametro minimo assiale >15 mm.
nella regione sottodigastrica e sotto-mandibolare,
>10 mm. nelle altre regioni; • raggruppamento
di più di 3 adenopatie aventi un diametro minimo assiale di 9-10 mm. in sottodigastrica e di
8-9 mm. nelle altre sedi. Criterio
specificamente valido per la TC è il grado di ipodensità. Va detto che nessuno di questi criteri, preso da solo, è
specifico e che solo l’associazione di
più di uno deve essere considerata.
Agoaspirato per esame cito-istologico
Il valore e i limiti della diagnostica cito-istologica su
agoaspirato nei casi N0 sono ancora
oggetto di valutazione. Prescindendo dalla sensibilità e specificità in generale, nella diagnostica
della compromissione linfatica in questi
casi N0 occorre dire che l’esame è utile solo se ecoguidato ed ha i suoi limiti specifici nel campionamento, in
quanto l’esame non può interessare tutti
i linfonodi e neppure tutti quelli sospetti. Può essere ottenuta, in mani esperte, una sensibilità
del 76%, e una accuratezza dell’89%.
Presenza di linfoadenopatie cliniche certe o sospette
In presenza di una neoplasia in atto o pregressa l’apprezzamento palpatorio di linfoadenopatie di
consistenza aumentata nell’area di drenaggio
linfatico pertinente, anche se di dimensioni ridotte, deve sempre essere considerato indizio certo o fortemente
sospetto di una metastatizzazione e
imporre un trattamento adeguato. Indagini strumentali non sono in genere indicate nelle situazioni
intermedie che sono la maggioranza. Esse
diventano utili, o addirittura necessarie, nelle situazioni estreme:
1. in presenza di adenopatie di piccole dimensioni quando il trattamento di prima scelta non è chirurgico
(radioterapia, chemioterapia o loro
combinazioni) per avere la conferma del loro
interessamento neoplastico; 2. in
presenza di adenopatie voluminose per giudicarne l’operabilità in funzione dei rapporti con le strutture
circostanti o il grado di presumibile
radio-rispondenza in funzione di specifiche
caratteristiche (densità, necrosi centrale). Gli esami indicati sono: •
ecografia (o TC) + agoaspirato per
esame citologico (nella situazione 1) •
TC (o RM), Eco-doppler, Arteriografia
(nella situazione 2)
METASTASI A DISTANZA
In pazienti sintomatici tutti gli esami appropriati al riscontro
di localizzazioni secondarie sono
indicati. In assenza di sintomi è indispensabile l’esecuzione di una radiografia del torace e di una
ecografia epatica, specialmente in
presenza di neoplasie estese, con elevato grading di malignità o/e con metastasi linfonodali. Esami strumentali più specifici (scintigrafia
ossea, TC polmonare e ossea) sono
indicati sistematicamente solo in presenza di sospetti clinici.
SECONDE NEOPLASIE SINCRONE
Il distretto cervico-facciale è quello in cui più frequentemente è
dato riscontrare la comparsa sincrona o
metacrona di neoplasie primitive multiple,
a sede e istogenesi diversa, indipendenti l’una dall’altra. Benchè il
carcinoma squamocellulare delle mucose
possa combinarsi con tumori primitivi a sedi
più disparate (polmone, colon, retto, vescica, ecc.), la riconosciuta
esistenza di una “field
cancerization” conduce alla necessità di esaminare con i mezzi più opportuni l’intera superficie a maggior
rischio. È quindi raccomandabile l’esecuzione,
oltre all’esame radiografico del torace anche di esami endoscopici comprendenti l’esofago e
l’albero tracheo-bronchiale.
ADENOPATIE METASTATICHE DA NEOPLASIA A SEDE PRIMARIA NON IDENTIFICABILE
Evento non raro, che comporta il ricorso a strategie diagnostiche
e terapeutiche particolari. Studi
retrospettivi eseguiti in numerosi centri hanno
rivelato che il mancato riscontro della neoplasia primitiva non si
traduce sempre in una prognosi infausta
e non deve pertanto costringere a rinunce
terapeutiche. L’esperienza
raccolta ha portato ad alcune conclusioni:
• un trattamento adeguatamente radicale della regione
cervicale può risolvere definitivamente
il problema regionale, purchè l’estensione
ed i caratteri delle metastasi lo consentano; •
il mancato trattamento dell’area linfatica
conduce ad un’evoluzione locale letale e
molto sintomatica, indipendentemente e comunque a più breve distanza dalla possibile evoluzione
della neoplasia primitiva; •
la neoplasia primitiva può anche non
manifestarsi mai o farlo molto tardi, anche
perché tanto piccola e nascosta da non poter essere identificata.
Ciò può valere, in misura assai diversa, per gran parte degli istotipi,
ma è particolarmente evidente nei
carcinomi squamocellulari, nei carcinomi
papilliferi o follicolari, nei carcinomi indifferenziati, in quelli di
tipo salivare, di prima manifestazione
come metastasi nei linfonodi cervicali. In tutti questi casi, l’eventuale lesione primaria ha sede
nel distretto cervico-facciale con frequenza
variabile dal 60 all’85% dei casi e può essere trattata adeguatamente anche se non individuata, se
vengono adottate adatte strategie e
applicati i trattamenti opportuni. Poiché
l’evento accomuna tutte le tumefazioni del collo apparse in assenza di altri segni o sintomi e può corrispondere ad
una vasta gamma di patologie, la sua
incidenza ha un peso statistico rilevante ed apre la strada ad un iter diagnostico complesso basato su un algoritmo
preciso (v. schema). Le sue prime
fasi devono portare a distinguere tra patologia primaria extralinfonodale e patologia linfonodale
primaria e secondaria. A ciò soccorrono
l’anamnesi (sintomatologia, età), la semeiologia clinica palpatoria (sede, caratteristiche) e strumentale
(ecografia, eventualmente TC e RM) cui si
aggiunge soprattutto il contributo determinante della citologia per agoaspirazione. Il concetto ispiratore
principale dell’iter diagnostico è quello
di pervenire al momento terapeutico senza passare, se appena possibile, attraverso un atto chirurgico
diretto, puramente diagnostico (biopsia)
che, con l’unico vantaggio della rapidità, presenta il rischio potenziale di compromettere, in caso di
patologia oncologica, l’esito del successivo
atto terapeutico, soprattutto se questo dovrà essere chirurgico. Il rischio maggiore è l’insemenzamento di
cellule tumorali nel campo operatorio,
cui si possono aggiungere difficoltà tecniche legate alle inevitabili reazioni tessutali. Quando comunque necessaria a conclusione
dell’iter diagnostico, la biopsia linfonodale
deve consistere nella escissione completa dell’adenopatia e mai in prelievo incisionale, a meno che sia già
stata esclusa la necessità di un intervento
chirurgico (inoperabilità, altre indicazioni terapeutiche). Una volta escluse altre patologie e
inquadrata la natura secondaria linfonodale,
il trattamento indicato corrisponde alla situazione regionale (loggia linfatica nel suo insieme) che va
considerata come malattia primaria, invertendo
l’impostazione concettuale propria delle neoplasie primitive del distretto cervico-facciale, e cioè il
trattamento sistematico del tumore primario
e quello profilattico della sua via di diffusione. L’inversione può comprendere sia l’asportazione chirurgica
(tiroide) che la radioterapia di formazioni
ritenute statisticamente più probabile sede di origine della neoplasia primitiva. Nelle metastasi da carcinoma squamocellulare,
il trattamento ottimale deve consistere,
in generale, in uno svuotamento della loggia linfatica sede di metastasi, seguito da radioterapia
transcutanea, includente il campo di svuotamento
(secondo l’istologia pN) e le sedi maggiormente indiziate di primitività neoplastica.
STADIAZIONE CLINICA TNM (UICC,
1997)
La classificazione clinica di ogni neoplasia nel singolo paziente
mira ad includere il caso in categorie
abbastanza omogenee per gravità (prognosi),
in modo da poter confrontare tra loro, attraverso un linguaggio comune,
i risultati ottenuti da vari trattamenti
in Centri diversi e da fornire indicazioni
terapeutiche. I criteri base per la classificazione possono variare da localizzazione a localizzazione a seconda del
fattore prognostico più importante da
considerare (dimensioni, sedi interessate, ecc.). Nel distretto cervico-facciale ciò si verifica in modo
marcato, per cui la classificazione clinica
del tumore primitivo viene riportata separatamente sede per sede. La classificazione clinica della diffusione
per via linfatica ed ematica è invece
al quanto uniforme. La
stadiazione è basata sugli esami già indicati al punto diagnosi di estensione, ricordando che ispezione e
palpazione sono cardini inderogabili,
mentre gli esami strumentali (ecografia, TC, RM, citologia per agoaspirazione, ecc.) non sono sempre
ritenuti obbligatori per l’inclusione nell’uno
o nell’altro stadio di T o di N. Tuttavia essi sono fortemente raccomandati e, spesso, utilizzati allo
scopo. Poichè ciò può condurre alla creazione
di raggruppamenti eterogenei ed inficiare l’attendibilità dei risultati di eventuali studi miranti a confrontare fra
loro diverse modalità terapeutiche, è
utile riportare in ogni singolo caso il grado di approfondimento (clinico 1, strumentale 2,
patologico 3). Ciò è particolarmente
importante nel caso di trattamenti radioterapici o/e chemioterapici in cui non sarà disponibile il
riscontro istopatologico completo (pTNM). La classificazione clinica delle adenopatie
è basata su criteri essenzialmente dimensionali,
con considerazione anche del numero e del lato (omo, contro, bilaterale). Essa è variata nei decenni (vi
sono state 4 edizioni) e non si può dire
neppure oggi del tutto soddisfacente. Infatti non tiene in considerazione fattori prognostici, quali fissità e livello,
che possono essere anche più importanti
di quelli considerati. Dalla stadiazione è progressivamente scomparso il criterio di “fissità”,
probabilmente per la difficoltà di definirne i
gradi per mezzo di una valutazione che è esclusivamente clinica. Una graduazione del rilievo potrebbe avere
effettivamente importanza prognostica,
anche se vari studi hanno dimostrato la difficoltà di apprezzarne il peso relativo. E’ tuttavia incontestabile
l’esistenza di limiti assoluti all’operabilità
quando le adenopatie risultano fisse nei piani profondi del collo oppure alla carotide. Tale situazione, che
preclude a priori l’impiego immediato di
un trattamento chirurgico radicale, rimette a terapie alternative la possibilità di controllo o di
riconduzione nei limiti di una resezione
chirurgica. In ogni modo, la fissità delle adenopatie costituisce un fattore prognostico innegabile, considerando
che la sua presenza riduce dell’85% le
probabilità di controllo, quantomeno locale, della metastasi linfonodale con mezzi non chirurgici. La
classificazione è applicata a tutte le localizzazioni
dei tumori cervico-facciali, indipendentemente dall’istologia, salvo che al carcinoma rinofaringeo, per il
quale esiste una classificazione specifica
(v. pag. 47). La classificazione
clinica generale delle adenopatie cervicali è stata rinnovata negli ultimi anni anche per quanto concerne
la loro distribuzione nel contesto della
rete di drenaggio, relativa alla localizzazione del tumore primitivo che può avere rapporti più o meno diretti con la
rete. Si possono configurare gradi
diversi di diffusione, in rapporto alla loro distanza dalla neoplasia originaria, suddivisi in livelli. Il livello
considerato non corrisponde sempre in realtà
ad un concetto di allontanamento dalla sede originaria della neoplasia in senso centripeto, ma fornisce un’idea
generale della distribuzione delle adenopatie
secondarie sufficientemente utile per una stadiazione appropriata, come proposto da Robbins e
coll.. Classificazione clinica dei
linfonodi regionali (UICC, 1997) Nx I linfonodi regionali non
possono essere valutati N0 Assenza
di metastasi linfonodali cliniche N1 Metastasi
in un solo linfonodo omolaterale, di 3 cm o meno nel suo maggiore diametro
N2a Metastasi in un solo linfonodo omolaterale, di dimensioni
superiori a 3 cm ma non a 6 cm N2b Metastasi in più di un linfonodo omolaterale,
nessuno di dimensioni superiori a 6 cm N2c Metastasi in linfonodi bilaterlai
o controlaterali, nessuna di dimensioni superiori
a 6 cm N3 Metastasi in un
linfonodo di dimensioni superiori a 6 cm
Metastasi a
distanza (M) Mx Non possono essere valutate M0 Assenza di metastasi M1 Presenza di metastasi A questa classificazione è d’uso, specialmente negli U.S.A.,
affiancare per comodità statistiche un
raggruppamento per stadi: Stadio 0 Tis N0 M0 Stadio I
T1 N0 M0 Stadio II T2 N0 M0 Stadio III T3 N0 M0 T1-2-3 N1 M0
Stadio IV A T4 N0 M0 T4 N1 M0 Ogni T N3 M0
Stadio IV B Ogni T N3 M0 Stadio
IV C Ogni T Ogni N M1
STADIAZIONE PATOLOGICA
TUMORE PRIMITIVO (PT)
È possibile in modo completo solo nei casi trattati
chirurgicamente. In linea generale, la
stadiazione patologica prevista dalla classificazione TNM (pTNM) prevede la sola conferma o modifica delle
dimensioni o dell’invasione ossea, che
può spostare “a posteriori” il caso da una categoria all’altra dello
stadio T. Tuttavia essa può aggiungere
una serie di informazioni utili sia a scopo
prognostico, sia per programmare ulteriori trattamenti attraverso il
rilievo di caratteristiche
istopatologiche ritenute influenti sulla frequenza di metastatizzazione linfonodale (trattamenti
precauzionali in casi cN0). Il referto
istopatologico deve contenere almeno le seguenti informazioni: •
istotipo •
grado di malignità (con vari criteri) •
estensione della neoplasia •
presenza di invasione vascolare o
nervosa • presenza di
infiltrato linfocitario intra- e peri-tumorale
• stato dei margini di resezione chirurgica (se possibile,
distanza del tumore dai margini).
LINFONODI (PN)
La stadiazione patologica delle aree di drenaggio linfatico è
posta su due livelli di approfondimento. 1. Positività o negatività per mezzo della
citologia su agoaspirato per campionamento.
Questa metodica è impiegata frequentemente nei casi in cui è previsto un trattamento radioterapico
o/e chemioterapico di prima scelta.
Sensibilità e specificità del metodo vanno valutate in combinazione con altri esami come ecografia, TC e RM. In
ogni modo non superano la soglia del
85-90% in caso di adenopatie clinicamente apprezzabili e sospette o certe per metastasi e del 75-85% in casi
N0. Non è applicabile a tutti i linfonodi. 2. Esame istopatologico di tutti i
linfonodi asportati in corso di svuotamenti
chirurgici. Esso consente di valutare: •
presenza o assenza di metastasi •
numero dei linfonodi colonizzati •
sede (per livelli) delle metastasi •
presenza o assenza di estensione
extracapsulare
STADIAZIONE MORFO-FUNZIONALE
Non esiste per i carcinomi cervico-facciali una vera e propria
stadiazione morfo-funzionale. Tuttavia
alcuni markers tumorali sono riconosciuti come
reali fattori prognostici indipendenti. Per essi si rimanda al capitolo
4.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
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collo N0. In: L. Corbetta Ed. Problemi diagnostici
e terapeutici del collo N0 nei carcinomi “chirurgici” della vie aerodigestive superiori. Relazione al XVII
Congresso Naz.le AOOI, Sanremo 15-17
ottobre 1993. pp. 141-155. 2. Ravetto C.
Citologia dei linfonodi. In: Rilke F. e Forni A., Citopatologia diagnostica. pp. 585-616, Piccin Editore,
Padova, 1989. 3. Van Den Brekel M.W., Castelijne J.A.,
Otel M.V. et al. Occult metastatic neck disease:
detection with ultrasound and US-guided fine needle aspiration cytology. Radiology, 180: 457-461, 1991. 4. Robbins KT, Medina J.E., Wolf G.T. et al.
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Official report of the Academy’s Committee for Head and Neck Surgery and Oncology. Arch. Otolaryngol. Head
Neck Surg., 117: 601-605, 1991. 5. Sobin L.H., Wittekind C.H. (Eds.) TNM
classification of malignant tumors. 5 th
Edition. John Wiley and Sons Inc., 1997.
6. PRINCIPI
GENERALI DI TERAPIA Il trattamento dei carcinomi della
testa e del collo, si avvale, nelle diverse
manifestazioni cliniche, di chirurgia, radioterapia e chemioterapia
secondo protocolli unimodali o di
associazione. In ogni caso questo comporta che la strategia terapeutica di questi tumori
necessiti oggi di un approccio multidisciplinare
da effettuarsi preferibilmente in centri dotati delle diverse competenze specialistiche. In questo capitolo si esprimono semplicemente
i principi generali, benefici e limiti
delle diverse modalità terapeutiche, mentre i protocolli specifici per ogni localizzazione verranno esposti nei
relativi paragrafi. LA TERAPIA CHIRURGICA E I SUOI
PRINCIPI La rimozione per intero della neoplasia
in tutte le sue componenti in atto è l’obiettivo
di ogni intervento chirurgico con intenti di radicalità. Va detto che le caratteristiche del distretto stesso
rappresentano una limitazione all’applicazione
sistematica della chirurgia per le possibili menomazioni funzionali ed estetiche che ne derivano. •
La maggior parte dei carcinomi della
testa e del collo in stadio iniziale può
essere curata sia con intervento chirurgico che con radioterapia, ottenendo percentuali di
controllo sovrapponibili per lesioni di
pari dimensioni. La scelta della terapia, in questi casi, è influenzata da diversi fattori quali: i
risultati estetici e funzionali, le condizioni
generali del paziente, la preferenza dello stesso paziente.
In presenza di neoplasie più estese, l’indicazione al trattamento
chirurgico diviene preminente per varie
ragioni. Innanzitutto si riscontrano percentuali più alte di guarigione locale rispetto a
quelle ottenibili con un trattamento radiante,
soprattutto nel caso di neoplasie profondamente infiltranti. Anche perchè i progressi della chirurgia plastica
ricostruttiva hanno consentito di ridurre
notevolmente le menomazioni estetiche e funzionali conseguenti a interventi chirurgici demolitivi. Il tutto va
comunque considerato alla luce di un
corretto bilancio tra i risultati oncologici e funzionali. Il concetto di radicalità chirurgica va
applicato, laddove possibile, all’intera
malattia neoplastica tecnicamente aggredibile e all’unità “tumore
primitivorete linfatica”. È necessario poter stabilire a priori i
margini di resezione con elevata probabilità
di cadere in tessuto sano, tenendo conto di alcuni fattori quali l’istologia, la modalità di crescita e di
invasione nei tessuti circostanti, la presenza
o meno di barriere anatomiche o di vie preferenziali per la diffusione neoplastica, le possibilità
ricostruttive e le modalità di trattamento
dei campi laterocervicali. Il
risultato oncologico va sempre perseguito insieme ad un adeguato risultato funzionale. Ciò presuppone che l’indicazione
chirurgica demolitiva venga sempre
associata, laddove possibile, ad un tempo ricostruttivo. Le tecniche ricostruttive possono avvalersi
di svariate metodiche: lembi di vicinanza,
lembi peduncolati o lembi liberi. La scelta fra le varie metodiche dipende dalla sede della lesione primitiva,
dall’entità della resezione, dalle condizioni
generali e locali del paziente.
PROBLEMA LINFONODALE
La facilità e precocità di invasione della rete linfatica rende
ragione della frequente diffusione
regionale per questa via propria dei tumori maligni epiteliali del distretto cervico-facciale. La
frequenza della diffusione linfatica ha
comportato nei decenni la messa a punto di procedimenti tecnici e di accorgimenti strategici rivolti a controllarla. I procedimenti tecnici sono rivolti alla
possibilità di ottenere la radicalità chirurgica
regionale, più o meno indipendentemente dal tipo e dalla sede del tumore primitivo. Gli accorgimenti strategici derivano dalla
necessità di considerare unitariamente
la rilevanza statistica della diffusione linfatica con le relative linee preferenziali di diffusione. A
differenza degli interventi sul tumore primitivo,
ben diversi da localizzazione a localizzazione, quelli eseguibili sulle aree linfatiche sono ormai standardizzati e
riconducibili a pochi modelli, indipendentemente
dalla sede del tumore. Possono variare le indicazioni, ma non le tecniche, che vengono qui illustrate.
TECNICHE CHIRURGICHE PER LE AREE LINFATICHE
Svuotamento radicale tradizionale demolitivo
Esso comporta, oltre alla rimozione dell’intera rete linfatica di
uno dei lati del collo, il sacrificio
del muscolo sternocleidomastoideo, della vena giugulare interna e del nervo accessorio spinale. Trova
indicazione in presenza di adenopatie di
diametro massimo superiore a 3 cm o fisse o di adenopatie multiple (più di 3). In caso di necessità può
essere allargato ad altre strutture
coinvolte nel processo neoplastico (carotide esterna, nervo ipoglosso, muscoli del piano profondo del
collo, cute). Di norma non è eseguibile
bilateralmente nella stessa seduta operatoria per le possibili complicanze immediate.
Svuotamento funzionale classico
Comporta nella sua realizzazione la dissezione ed asportazione
delle fasce cervicali e del loro
contenuto linfonodale, con la conservazione della vena giugulare interna, del muscolo
sternocleidomastoideo e del nervo accessorio
spinale. Può essere eseguito bilateralmente nella stessa seduta senza complicazioni immediate, anche nel caso sia necessario
il sacrificio della vena giugulare
interna di un lato. Lo svuotamento funzionale classico è indicato in assenza di adenopatie
clinicamente apprezzabili o in presenza di
adenopatie di dimensioni inferiori a 3 cm, mobili ed in genere in numero
non superiore a 3.
Svuotamento selettivo
A differenza dello svuotamento funzionale classico completo, che
prevede la rimozione di tutta la rete
linfatica presente nelle varie regioni del collo (livelli dal I al V secondo Robbins), lo svuotamento
selettivo comporta la dissezione dei
livelli statisticamente a maggior rischio di metastatizzazione linfatica. Per la cavità orale i livelli in questione sono
il I, II, e III (sopraomoioidei), per la
laringe il II, III, IV. L’indicazione essenziale per questo tipo di
svuotamento è l’assenza di adenopatie
palpabili. Come per lo svuotamento funzionale
completo, quello selettivo può e deve essere eseguito bilateralmente in
caso di localizzazione mediana o
paramediana del tumore primitivo.
Indicazioni tattiche
Gli svuotamenti possono venire eseguiti separatamente o
simultaneamente al trattamento del
tumore primitivo. Il trattamento separato si ha
tipicamente in caso di comparsa di metastasi tardiva in colli
inizialmente non trattati, oppure nel
caso in cui, per vari motivi, lo svuotamento venga volutamente differito. Gli svuotamenti simultanei vengono sempre
associati agli interventi sul tumore
primitivo possibilmente in monoblocco, realizzando così il concetto di simultaneità terapeutica, cronologica e
spaziale.
LA RADIOTERAPIA E I SUOI PRINCIPI
La radioterapia (RT), nelle sue due principali modalità tecniche:
radioterapia transcutanea e
brachiradioterapia interstiziale è una modalità di cura dei tumori di tipo loco-regionale come la
chirurgia. Essa viene usata, infatti, nel
trattamento del tumore primitivo e delle sue provate o probabili
diffusioni contigue o linfatiche. Lo scopo di un trattamento radiante è
determinare la morte per danni non riparabili
delle cellule tumorali presenti nell’area irradiata. Si tratta di un evento probabilistico che, a differenza
dell’ablazione chirurgica, mantiene in situ,
per un certo periodo di tempo, l’intera popolazione cellulare iniziale, costituita però da cellule morte. Da
quest’ultimo contingente e dalla sua entità
dipendono le probabilità di successo definitivo della RT. Se nelle neoplasie in stadio iniziale
l’indicazione radioterapica è frequentemente
sovrapponibile a quella chirurgica, come abbiamo già ricordato, nelle forme avanzate essa trova indicazione
nell’ambito di trattamenti multimodali. La risposta dei tumori maligni epiteliali
della testa e del collo è strettamente influenzata
da molteplici fattori legati sia alle caratteristiche cliniche dei pazienti (età, abitudini di vita, patologie
concomitanti) che al tipo del tumore trattato
(stadio, sede, grading istologico, morfologia e biologia). La probabilità di ottenere una cura definitiva
con la radioterapia convenzionale esclusiva
è circa del 90% per tumori di piccole dimensioni e del 25-40% per i tumori voluminosi o adesi a muscolo, osso
limitrofo o con estese linfoadenopatie
cervicali. Per quanto riguarda la sede del tumore primitivo, le lesioni limitate alla laringe glottica hanno
una elevata possibilità di essere curate
(95%), seguite dai tumori del rinofaringe (70%), della laringe sopraglottica (60%) e dell’orofaringe (60%).
Risultati più scarsi sono ottenuti nei
tumori avanzati del cavo orale (35%) e dell’ipofaringe (20%).
RADIOTERAPIA ADIUVANTE
La radioterapia intesa come trattamento adiuvante dopo un
intervento chirurgico eseguito con
finalità radicale, rappresenta una precisa indicazione nei tumori in fase avanzata. Il suo impiego è
consigliato quando è alto il rischio di
ricaduta locale post-chirurgica, come nel caso di evidenza sul pezzo operatorio di margine di resezione infiltrato
da tumore o di invasione neoplastica
extracapsulare dopo asportazione di linfoadenopatie metastatiche. Le dosi necessarie per il
controllo della malattia microscopica variano
con il tipo e la sede del tumore, ma sono di regola inferiori a quelle necessarie per il controllo della malattia
macroscopica.
TOSSICITÀ RADIOINDOTTA
Il progresso tecnologico in radioterapia (impiego di TC-simulatore
per la definizione del volume bersaglio,
elaborazione computerizzata del piano di
trattamento, collimazione personalizzata dei fasci di radiazioni) ha sicuramente contribuito a ridurre la
tossicità acuta, subacuta e tardiva indotta
dal trattamento radiante e, di conseguenza, permette di erogare in sicurezza dosi più elevate al tumore. La tossicità acuta dipende dalle sedi
tumorali trattate e dalle tecniche di irradiazione
scelte ed è frequentemente rappresentata da mucosite, disgeusia e iposcialia, che compaiono dopo
2-3 settimane di trattamento e possono
persistere anche a lungo. Le abitudini igienico-alimentari del paziente durante il trattamento condizionano
sicuramente la tolleranza alle radiazioni,
che è infatti ridotta nel caso di dedizione al fumo, di abuso di alcool o di ipoalimentazione. Il supporto
nutrizionale, ora impostato di routine
già all’inizio del trattamento radioterapico e non solo alla comparsa degli effetti collaterali acuti (ad esempio,
disfagia grave), permette di mantenere
stabile il peso corporeo del paziente durante il trattamento, senza gravi squilibri calorici e metabolici. Le
complicanze a distanza (fibrosi sottocutanee,
neuriti, mieliti) sono oggi rare, se si impiegano tecniche e dosi corrette.
In particolare la valutazione, prima dell’inizio del trattamento
radiante, della situazione dentaria con
cura conservativa o estrazione preventiva di denti cariati, e l’impiego durante il trattamento
di gel fluorurati hanno notevolmente
ridotto il rischio di insorgenza di paraodontopatie e la conseguente comparsa tardiva di processi
osteonecrotici radioindotti.
LA CHEMIOTERAPIA E I SUOI PRINCIPI
Il ruolo storico della chemioterapia nelle neoplasie
cervico-cefaliche è rappresentato dal
trattamento palliativo della malattia avanzata. Più recentemente, il trattamento chemioterapico è
stato introdotto anche nella malattia
localmente avanzata non pre-trattata, combinato con le terapie loco-regionali secondo differenti sequenze.
MALATTIA RECIDIVATA E/O METASTATICA
La scelta della strategia terapeutica per i pazienti con neoplasie
del distretto cervico-facciale
recidivanti dopo trattamento chirurgico e/o radiante o metastatiche, deve essere fatta in funzione
dell’obiettivo terapeutico che ci si prefigge
e delle caratteristiche dei pazienti. Poiché i risultati ottenibili con i trattamenti chemioterapici non possono ancora
essere considerati soddisfacenti, é
auspicabile che si proponga ai pazienti di partecipare a studi clinici sperimentali. Ove questo non fosse
possibile la prima scelta che si pone é
quella se proporre o meno un trattamento chemioterapico. Infatti, attualmente l’obbiettivo della terapia in
queste situazioni é la palliazione dei sintomi
e il miglioramento della qualità di vita del paziente. In generale, in assenza di controindicazioni
al trattamento antiblastico, il trattamento
chemioterapico può essere sempre proposto in pazienti non pretrattati con chemioterapia Al contrario,
nei pazienti pre-trattati, la scelta di
riproporre chemioterapia alla progressione di malattia é molto più opinabile e dovrebbe essere limitata a
pazienti che hanno ottenuto un beneficio
(riduzione del volume di malattia e miglioramento della qualità di vita) dal primo trattamento. Per quanto riguarda il tipo di chemioterapia
da proporre, esiste una buona evidenza
che la polichemioterapia con platino e fluorouracile é più efficace dei singoli agenti nell’indurre remissioni
cliniche. Quindi questo é il regime di riferimento
per trattare pazienti non inseriti in studi clinici. La combinazione di cisplatino e fluorouracile prevede la
somministrazione del cisplatino alla dose
di 100 mg/m2 in infusione di 1 o 2 ore (preceduta e seguita da appropriata idratazione) e la
somministrazione del fluorouracile alla dose di
1000 mg/m2/die in infusione continua di 4 o 5 giorni (96, 120 ore). I principali effetti collaterali di questo
regime sono imputabili al cisplatino, che
deve essere somministrato da persone esperte. La monochemioterapia con methotrexate
settimanale rimane il regime di riferimento
per tutti quei pazienti giudicati non in grado di tollerare la combinazione di cisplatino e fluorouracile.
CHEMIOTERAPIA IN COMBINAZIONE CON I TRATTAMENTI LOCO-REGIONALI DI PRIMA LINEA
Chemioterapia neo-adiuvante
Si intende per chemioterapia neoadiuvante il trattamento
antiblastico che viene somministrato
prima della terapia loco-regionale definitiva.
I risultati degli studi clinici randomizzati fino ad ora pubblicati
sulla chemioterapia neo-adjuvante non
sono stati in grado di dimostrare vantaggi
in sopravvivenza indotti da questa metodica rispetto al solo trattamento loco-regionale. I dati disponibili però
concordano sulla capacità della chemioterapia
neo-adiuvante di ridurre in maniera statisticamente significativa le metastasi a distanza.
Conseguentemente, la chemioterapia neo-adiuvante
potrà verosimilmente svolgere un ruolo nell’incremento della sopravvivenza quando sarà possibile garantire
un miglior controllo locoregionale, la
cui carenza, al momento, rappresenta la causa di morte più comune in questa patologia. Benché il
miglioramento della sopravvivenza al momento
non sia dimostrabile, tutti i dati esistenti escludono che la chemioterapia neo-adiuvante possa
rappresentare un fattore di rischio per i
pazienti. Allo stato attuale non esiste indicazione all’uso routinario
della chemioterapia neo-adiuvante se non
all’interno di studi clinici.
Chemioterapia adiuvante
Con il termine di chemioterapia adiuvante si indica la
somministrazione della chemioterapia al
termine dei trattamenti locali primari. Gli obiettivi principali che sostengono l’uso della chemioterapia
adiuvante (CTA) alla chirurgia e/o alla
radioterapia, sono quelli di eradicare la malattia locale microscopica e le metastasi a distanza. La CTA trova pertanto
la sua ideale collocazione nei pazienti
ad alto rischio di recidiva (linfonodi metastatici multipli, invasione extra-capsulare linfonodale, trombosi vasali,
infiltrazione perineurale) e deve essere
basata su farmaci attivi somministrati a dosi ottimali, in stretta vicinanza o in concomitanza del trattamento
locale Tuttavia non è stato osservato un
sicuro vantaggio in sopravvivenza quando la CTA è stata testata in studi randomizzati. Allo stato attuale delle conoscenze,
l’impatto della CTA appare modesto e non
indicato al di fuori di studi clinici controllati
TRATTAMENTI CHEMIO-RADIOTERAPICI INTEGRATI
Rappresentano la combinazione di trattamento medico citostatico e radioterapico, che supera il concetto di
“radiosensibilizzazione”. Si parla
invece di chemio-radioterapia integrata quando entrambe le modalità sono utilizzate in maniera “sincrona” a
dosi e scheduling di per sè attivi, con lo
scopo di aggiungere alle rispettive azioni anche un terzo meccanismo citocida risultante dalla interazione fra le
due metodiche. Rientrano quindi nel
concetto di chemio-radioterapia integrata i trattamenti “simultanei”
o “alternati”. Poiché la metodica in oggetto supera la
semplice somma delle attività rispettive
di chemioterapia e radioterapia questi trattamenti sono gravati da importanti effetti collaterali. Questi
trattamenti sono indicati in neoplasie avanzate
non altrimenti curabili e in protocolli miranti alla preservazione d’organo.
Per quanto riguarda l’attività terapeutica, i risultati degli studi
randomizzati sono relativamente omogenei
in termini di aumento della percentuale di
risposte complete e di aumento della sopravvivenza libera da malattia, mentre risultano ancora discordanti i dati
sull’aumento della sopravvivenza assoluta,
anche se gli studi più recenti, pubblicati dopo il 1990, sembrano orientare verso una maggiore efficacia della
chemio-radioterapia integrata rispetto
alla sola radioterapia, anche in termini di sopravvivenza assoluta.
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