ICTUS

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È detto ictus un evento vascolare cerebrale
patologico, con conseguente perturbazione acuta della funzionalità encefalica,
focale o generalizzata. Viene chiamato anche apoplessia o più
appropriatamente attacco apoplettico o colpo apoplettico.
Rientra nellesindromi vascolari acute. L’attacco ischemico transitorio
(TIA) è un accidente cerebrovascolare definito dalla regressione completa della
sintomatologia in meno di 24 ore (ma solo il 5% dei casi evolve in più di 12
ore).
I termini aulici utilizzati per definire questa patologia rispecchiano la
storia della medicina, attraverso le lingue che hanno dominato le scienze nel corso dei
secoli, poiché si passa dal greco
apòplexis, al latino ictus, all’inglese stroke, che
significano tutti allo stesso modo “colpo”. Un termine più preciso è
accidente cerebrovascolare.
Definizioni
Secondo la definizione dell’OMS l’ictus è
l’improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit locale e/o globale (coma) delle funzioni cerebrali, di durata
superiore alle 24 ore o con esito infausto, non attribuibile ad altra causa
apparente se non a vasculopatia cerebrale (la definizione quindi, nella dicitura
di “ictus” esclude il TIA). L’ictus è una emergenza medica e deve essere
prontamente diagnosticato e trattato in un ospedale per l’elevato rischio di disabilità e di morte che esso comporta.
La definizione di ictus comprende, sulla base dei dati morfologici, l’ictus ischemico, più frequente, l’ictus emorragico, nel 15% dei casi e alcuni
casi di emorragia meningea. L’errore nel diagnosticare l’ictus non supera il 5% dei casi, ed è
raro anche se il medico non è uno specialista neurologo.
Tipi di ictus
- Ictus
ischemico
È una condizione caratterizzata dall’occlusione di un vaso
(ischemia) a causa di una trombosi (25%) o di un’embolia (70%) o, meno frequentemente, da un’improvvisa
e grave riduzione della pressione di perfusione del circolo ematico. - Ictus
emorragico (intracerebrale o intraventricolare)
È una condizione
determinata dalla presenza di un’emorragia intracerebrale non traumatica. - Attacco ischemico transitorio
(TIA)
Il TIA si differenzia dall’ictus per la durata che nel TIA è
inferiore alle 24 ore (di solito pochi minuti).
Ictus
criptogenetico
La categoria degli ictus o stroke criptogenetico o ictus ad
origine indeterminata (nella classificazione TOAST) è una
categoria residuale e comprende tutti gli ictus di cui non viene diagnosticata
la causa. Secondo la classificazione TOAST viene definito i.c. un infarto, cerebrale che non può essere
attribuibile a nessuna causa certa né di cardioembolismo né di vasta
arteriosclerosi arteriosa né di altre patologie vascolari neanche dopo un vasto
screening cardiaco, vascolare e sierologico.
FOP
È attualmente in studio la relazione tra il Forame ovale pervio e l’i.c. perché vi è una frequenza molto alta di FOP (maggiore del
50%) nei giovani colpiti da i.c. L’esistenza di una correlazione è pero
controversa per vari motivi tra cui il fatto che la frequenza di presenza di FOP
tra i pazienti che hanno una storia di i.c. è molto più bassa negli anziani.
Classificazione in funzione della zona arteriosa di
infarto
L’attacco d’ictus a seconda di dove si verifica lungo il poligono di
Willis prende nomi diversi:
- Infarto della circolazione posteriore o Poci quando si
verifica sulle arterie vertebrali e arterie basilari - Infarto lacunare o Laci quando si verifica su un’unica arteria
perforante e profonda, interessando il talamo, la capsula interna o il tronco
dell’encefalo - Infarto della circolazione anteriore parziale o Paci quando si
verifica sull’arteria cerebrale media, dopo la sua
suddivisione - Infarto della circolazione totale anteriore o Taci quando si
verifica sull’arteria cerebrale media, prima della
sua suddivisione
Epidemiologia
Ogni anno si verificano in Italia
(dati sulla popolazione del 2001) circa 196.000 ictus, di cui circa il 20% è
costituito da recidive (39.000).
L’ictus è la terza causa di morte dopo le
malattie cardiovascolari e le neoplasie, causando il 10%-12% di tutti i decessi per
anno, rappresenta la principale causa d’invalidità e la seconda causa di demenza. L’incidenza dell’ictus aumenta
progressivamente con l’età raggiungendo il valore massimo negli ultra
ottantacinquenni. Il 75% degli ictus, quindi, colpisce i soggetti di oltre 65
anni. Il tasso di prevalenza di ictus nella popolazione anziana (età 65-84 anni) italiana è
pari al 6,5%, ed è leggermente più alto negli uomini (7,4%) rispetto alle donne
(5,9%). Si calcola che l’evoluzione demografica, caratterizzata da un sensibile
invecchiamento, porterà in Italia – se l’incidenza dovesse rimanere costante – a
un aumento dei casi di ictus nel prossimo futuro. L’ictus colpisce, sia pure in
misura minore, anche persone giovani e si stima che ogni anno il numero di
persone in età produttiva (<65 anni) colpite da ictus sia intorno a 27.000.
L’ictus ischemico rappresenta la forma più frequente di ictus (80% circa),
mentre le emorragie intraparenchimali riguardano il 15%-20% e le emorragie
subaracnoidee il 3% circa. L’ictus ischemico colpisce soggetti di età media
superiore a 70 anni, più spesso uomini che donne; quello emorragico
intraparenchimale colpisce soggetti leggermente meno anziani, sempre con lieve
prevalenza per il sesso maschile; l’emorragia subaracnoidea colpisce più spesso
soggetti di sesso femminile, di età media sui 50 anni circa. La mortalità acuta
(a 30 giorni) dopo ictus è pari a circa il 20% mentre quella a 1 anno è pari al
30% circa; le emorragie (parenchimali e sub-aracnoidee) hanno tassi di mortalità
precoce più alti (30% e 40% circa dopo la prima settimana; 50% e 45% a 1 mese).
A un anno dall’evento acuto, un terzo circa dei soggetti sopravvissuti a un
ictus, indipendentemente dal fatto che sia ischemico o emorragico, presenta un
grado di disabilità elevato, tanto da poterli definire totalmente
dipendenti.
Cause di ictus
Ictus ischemico
Si distinguono diversi tipi di ictus ischemico:
- da patologia delle arterie di maggiore calibro (arterie carotidi, arterie
vertebrali o arteria
basilare), responsabili di infarti
che colpiscono la corteccia e le strutture
sottocorticali; - da patologie dei vasi di piccolo calibro (arterie perforanti) che
causano infarti sottocorticali o lacune; - da patologie cardiache (cardioembolico), causati da emboli a partenza
cardiaca; - infarto cerebrale d’altra origine
(dissezione, poliglodulia, ipoglicemia); - infarto cerebrale d’origine sconosciuta.
Le cause più comuni di ictus ischemico sono:
- vasculopatia
aterosclerotica che interessa le arterie di maggior calibro, comunemente le
arterie carotidi, le vertebrali e le arterie che originano dal circolo del Willis, all’interno delle quali si forma un trombo. - occlusione delle piccole arterie (ictus lacunare), causata da lipoialinosi (strati lipidici che crescono nelle piccole arterie per effetto dell’ipertensione, del diabete o dell’età) e degenerazione fibrinoide o dall’estensione di microateromi
dalle arterie di maggior calibro a quelle perforanti. - cardioembolia o embolia transcardiaca:
- Condizioni associate con rischio elevato di ictus cardioembolico: fibrillazione
atriale (non isolata), protesi valvolare meccanica, stenosi mitralica con fibrillazione atriale,
trombo in atrio e/o auricola sinistri, sick sinus syndrome, infarto miocardico acuto recente (<4
settimane), trombo ventricolare sinistro, mixoma atriale, endocardite infettiva, cardiomiopatia dilatativa, acinesia di parete del ventricolo
sinistro. - Condizioni associate con basso rischio di ictus iniziale o ricorrente o non
dimostrate con sicurezza come sorgenti di cardioembolismo: prolasso della valvola mitralica, calcificazione dell’anulus
mitralico, stenosi
mitralica senza fibrillazione atriale, ecocontrasto
spontaneo in atrio sinistro, forame ovale pervio, aneurisma del setto interatriale, stenosi aortica calcifica, flutter atriale,
fibrillazione atriale isolata (lone), protesi valvolare biologica, endocardite
trombotica non batterica, scompenso cardiaco congestizio, ipocinesia segmentaria del
ventricolo sinistro, infarto del miocardio (>4 settimane,
<6 mesi).
- Condizioni associate con rischio elevato di ictus cardioembolico: fibrillazione
Le cause meno frequenti di ictus ischemico sono:
- disordine ematologico/altre cause specificabili
- ictus emicranico
- contraccettivi orali od estrogeni
- farmaci (non estro-progestinici)
- Vasculopatie
infiammatorie primarie (arterite a cellule giganti, arterite di
Takayasu, Lupus eritematoso sistemico, sindrome di Sneddon, vasculiti necrotizzanti sistemiche, poliarterite
nodosa, sindrome di Churg-Strauss, granulomatosi di Wegener, artrite
reumatoide, sindrome di Sjögren, malattia di Behçet, sclerodermia, sarcoidosi, arterite isolata del sistema
nervoso centrale, malattia di Bürger) - anomalie congenite (displasia fibromuscolare,
inginocchiamenti della carotide, dolicoectasia
della basilare, sindrome di Ehlers-Danlos, pseudoxantoma elastico, sindrome di Marfan, malformazioni arterovenose) - vasculopatie traumatiche (dissecazioni)
Ictus emorragico
L’emorragia cerebrale primaria
rappresenta il 90% circa di tutte le emorragie cerebrali ed è causata più
frequentemente dall’ipertensione arteriosa. Un terzo circa
dei sanguinamenti cerebrali nelle persone anziane è causato invece dall’angiopatia
amiloide, caratterizzata da emorragie cerebrali a carattere ricorrente.
Emorragia meningea
Nel 90% dei casi si documenta un’emorragia subaracnoidea. Può essere
dovuta a rottura aneurismi, più
frequentemente (85% dei casi di emorragia meningea) o, nel 10%, essere
idiopatica, caratteristicamente a localizzazione perimesencefalica, e nel
restante 5% di altre cause rare, per esempio dissezione arteriosa, malformazioni artero-venose (MAV), fistole
artero-venose durali.
Fattori
di rischio e prevenzione primaria
Gli studi epidemiologici hanno individuato molteplici fattori che aumentano
il rischio di ictus. Alcuni di questi fattori (principalmente l’età), non
possono essere modificati, ma costituiscono tuttavia importanti indicatori per
definire le classi di rischio. Altri fattori possono essere modificati con
misure non farmacologiche o farmacologiche. Il loro riconoscimento costituisce
la base della prevenzione sia primaria sia secondaria dell’ictus. I fattori di
rischio modificabili ben documentati sono:
- ipertensione arteriosa;
- alcune cardiopatie (in particolare, fibrillazione atriale);
- diabete
mellito; - iperomocisteinemia;
- ipertrofia ventricolare sinistra;
- stenosi carotidea;
- fumo di sigaretta;
- eccessivo consumo di alcol;
- ridotta attività fisica.
Sono stati descritti altri fattori che probabilmente aumentano il rischio di
ictus ma che al momento non appaiono completamente documentati come fattori di
rischio. Fra questi:
- dislipidemia;
- alcune cardiopatie (forame ovale pervio, aneurisma settale);
- placche dell’arco
aortico; - uso di contraccettivi orali;
- terapia ormonale
sostitutiva; - sindrome metabolica e obesità;
- emicrania;
- anticorpi antifosfolipidi;
- fattori dell’emostasi;
- infezioni;
- uso di droghe;
- inquinamento atmosferico.
La prevenzione primaria per tutti, ma specialmente per le persone a rischio, si basa su una
opportuna informazione sull’ictus e su una educazione a stili di vita adeguati.
È stato infatti dimostrato che le modifiche degli stili di vita possono produrre
una diminuzione dell’incidenza e della mortalità dell’ictus.
Modifiche degli stili di vita che si associano a una riduzione del rischio di
ictus:
- Smettere di fumare – La cessazione del fumo di sigaretta
riduce il rischio di ictus, ed è pertanto indicata nei soggetti di qualsiasi età
e per i fumatori sia moderati sia forti. - Svolgere una regolare attività fisica. L’attività fisica graduale, di
lieve-moderata intensità e di tipo aerobico (passeggiata a passo spedito alla
velocità di un chilometro in 10-12 minuti), è indicata nella maggior parte dei
giorni della settimana, preferibilmente ogni giorno. - Mantenere un peso corporeo salutare. L’obiettivo può essere raggiunto
aumentando gradualmente il livello di attività fisica, controllando l’apporto di
grassi e dolciumi, aumentando il consumo di frutta e verdura. - Ridurre l’apporto di sale nella dieta
a non oltre i 6 grammi di sale (2,4 g di sodio) al giorno. L’obiettivo può
essere raggiunto evitando cibi con elevato contenuto di sale, limitandone l’uso
nella preparazione degli alimenti e non aggiungendo sale a tavola. - Ridurre il consumo di grassi e condimenti di origine animale, sostituendoli
con quelli di origine vegetale (in particolare olio extravergine di oliva) e
utilizzando i condimenti preferibilmente a crudo. - Mangiare pesce 2-4 volte la settimana (complessivamente almeno 400 g), quale
fonte acidi grassi
poliinsaturi della serie omega-3,
preferibilmente pesce azzurro, salmone, pesce spada, tonno fresco, sgombro,
halibut, trota. - Consumare tre porzioni di verdura e due porzioni di frutta al giorno, e con
regolarità cereali integrali e legumi quali fonti di
energia, proteine di origine vegetale, fibra alimentare, vitamine, folati e minerali (potassio, magnesio e calcio). 1
porzione di verdura = 250 g se cotta o 50 g se cruda; 1 porzione di frutta = 150
g. - Consumare regolarmente latte e alimenti derivati, scegliendo prodotti con
basso contenuto lipidico. Per i consumatori abituali di bevande alcoliche,
limitare l’assunzione di alcol a non più di due bicchieri di vino al giorno (o quantità di alcol
equivalenti) nei maschi e a un bicchiere nelle donne non in gravidanza,
preferibilmente durante i pasti principali, in assenza di controindicazioni
metaboliche.
I trattamenti medici che possono ridurre il rischio di ictus sono i
seguenti:
- Nel paziente iperteso: il trattamento dell’ipertensione arteriosa sia sistolica sia diastolica riduce il rischio di ictus
indipendentemente dall’età del soggetto e dal grado di ipertensione, ed è
pertanto indicato in tutti gli ipertesi. L’obiettivo suggerito dalle linee guida
è una pressione <130 e <80 mm Hg nei diabetici, e almeno <140 e
<90 mm Hg – o decisamente più bassi se tollerati – in tutti i soggetti
ipertesi. - Nel paziente con fibrillazione atriale associata a valvulopatia è indicata la
terapia anticoagulante. - Nel paziente con fibrillazione atriale non valvolare di età superiore a 75
anni e con fattori aggiuntivi di rischio tromboembolico (diabete mellito, ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco, dilatazione atriale
sinistra, disfunzione sistolica ventricolare sinistra), è indicata la terapia
anticoagulante orale. - In alternativa alla terapia anticoagulante si utilizza l’aspirina che risulta
efficace, sia pure in misura inferiore, soprattutto nei seguenti casi: età
superiore a 65 anni, se controindicata la terapia anticoagulante orale; età
superiore a 75 anni se prevalente il rischio emorragico su quello
trombo-embolico; nei casi in cui sia prevedibile una scarsa compliance o vi
siano difficoltà di accesso a un monitoraggio affidabile. - Nel paziente con protesi valvolari cardiache meccaniche è indicata la
terapia anticoagulante. - Nel paziente coronaropatico con colesterolo elevato, per la prevenzione
dell’ictus, è indicato il trattamento con le statine. - Nel pazienti diabetici di età superiore ai 30 anni con un fattore di rischio
aggiuntivo, è indicato l’uso dell’aspirina in prevenzione primaria. Il
riconoscimento e la terapia del diabete mellito sono in ogni caso indicati per
la riduzione del rischio di ictus.
Come ci si accorge di essere colpiti dall’ictus?
Quando si è colpiti da un ictus improvvisamente compaiono varie combinazioni
di questi disturbi:
- non riuscire a parlare nel modo corretto (non trovare le parole o non
comprendere bene quanto ci viene detto: afasia; pronunciarle in modo sbagliato: disartria), - perdere la forza in metà corpo (metà faccia, braccio e gamba, dal lato
destro o da quello sinistro: emiplegia o emiparesi), - sentire dei formicolii o perdere la sensibilità in metà corpo (in modo
analogo alla forza: emiipoestesia
e parestesia), - non vedere bene in una metà del campo visivo, ossia in quella parte di
spazio che si abbraccia con uno sguardo (emianopsia), - vi possono essere altri sintomi ancora come la maldestrezza, l’assenza di
equilibrio e le vertigini (sempre associate ad altri
disturbi: una crisi vertiginosa isolata difficilmente è causata da un
ictus), - le emorragie più gravi, soprattutto l’emorragia subaracnoidea, si annunciano
con un improvviso mal di testa (cefalea), molto più forte di quello sperimentato in
passato, che viene assimilato a un colpo di pugnale inferto alla nuca.
Cosa succede dopo
un ictus?
L’ictus è una malattia grave. Alcuni, meno fortunati perché hanno lesioni più
estese o un decorso aggravato da complicanze, non superano la fase acuta della
malattia e muoiono durante le prime settimane. Per altri, una volta superata la
fase acuta, si assiste a un miglioramento – fatto che offre motivi di speranza.
Quando si verifica un ictus alcune cellule
cerebrali vengono lesionate in modo reversibile, altre muoiono. Le cellule
che non muoiono possono riprendere a funzionare. Inoltre nelle fasi acute
dell’ictus, intorno alle aree lese il cervello si gonfia per effetto dell’edema. Quando l’edema si riduce il
funzionamento delle aree sane del cervello riprende regolarmente. Infine altre
aree sane del cervello possono sostituire le funzioni di quelle lesionate.
Ovviamente le possibilità di recupero variano in relazione all’estensione della
lesione e alla particolarità della zona colpita. Gli effetti dell’ictus variano
molto nelle diverse persone: alcune sperimentano solo disturbi lievi, che con il
tempo divengono quasi trascurabili, altri, invece, portano gravi segni della
malattia per mesi o per anni. Complessivamente delle persone che sopravvivono a
un ictus, il 15% viene ricoverato in reparti di lungodegenza; il 35% presenta
una grave invalidità e una
marcata limitazione nelle attività della vita quotidiana; il 20% necessita di
assistenza per la deambulazione; il 70% non riprende la precedente
occupazione. Potrebbero capitare anche piccole forme di perdite di memoria
temporanee e chi è affetto da questa malattia potrebbe riprendere l’uso della
parola e non capire la sua situazione.
Diagnosi di ictus
All’ingresso in ospedale vengono di regola effettuati i seguenti esami: radiografia del torace, elettrocardiogramma, esami ematochimici (esame emocromocitometrico con piastrine, glicemia, elettroliti sierici, creatininemia, azoto ureico, bilirubina, transaminasi, tempo di protrombina, APTT). Le diagnosi di TIA e di
ictus sono diagnosi cliniche. Tuttavia una tomografia computerizzata (TC)
o una risonanza magnetica (MRI)
sono utili per riconoscere altre malattie che possono essere confuse con questa
e permettono di documentare la presenza di una lesione, la natura ischemica di
questa, la sua sede ed estensione, la congruità con la sintomatologia clinica.
La RMN presenta vantaggi rispetto alla TAC nell’identificazione di lesioni di
piccole dimensioni e per quelle localizzate in fossa cranica posteriore. Quando si sospetta una
stenosi carotidea si effettua un’ecografia Doppler
dei tronchi sovra-aortici soprattutto ai fini della scelta terapeutica in senso
chirurgico, eventualmente completando la valutazione con altre tecniche non
invasive di neuroimmagine (angio-RMN; angio-TAC). Lo studio eco-Doppler permette
inoltre un migliore inquadramento eziopatogenetico.
Principi di
terapia
L’ictus è un’urgenza medica che richiede un ricovero immediato in ospedale.
Il paziente con ictus va sempre ricoverato perché è solo con gli accertamenti
eseguibili in regime di ricovero che si può rapidamente diagnosticare sede,
natura e origine del danno cerebrale, oltre che evidenziare e curare eventuali
complicanze cardiache, respiratorie e metaboliche.
La terapia specifica nelle prime ore si basa sulla disponibilità di strutture
e di personale dedicati alla cura dell’ictus (stroke unit) e nel caso dell’ictus
ischemico, sulla possibilità di sciogliere il coagulo nelle prime tre ore (trombolisi) e di contrastare la
formazione di ulteriori trombi attraverso farmaci che prevengono l’aggregazione
delle piastrine (antiaggreganti, in primo luogo, l’acido
acetilsalicilico).
Unità
specializzate
Può esistere negli istituti ospedalieri un reparto dedicato agli accidenti
cerebrovascolari, chiamato anche stroke unit.
Trombolisi
Gli studi clinici di trombolisi hanno portato ad accumulare dati su un
notevole numero di pazienti, così da consentire una valutazione delle
possibilità offerte da tale trattamento. Il farmaco (r-tPA:
recombinant tissue plasminogen activator) deve essere somministrato per via endovenosa nelle prime tre ore. L’efficacia del trattamento diminuisce
progressivamente dopo le 3 ore. I dati infatti indicano che per ogni 1.000
pazienti trattati, 57 di quelli trattati entro 6 ore e 140 di quelli trattati
entro 3 ore evitano morte o dipendenza a 3 mesi, malgrado la comparsa di
emorragia secondaria sintomatica in 77 pazienti in più (non fatale in 48 casi,
fatale in 29 casi) quando trattati entro 6 ore.
La trombolisi va effettuata
in centri esperti, dotati di caratteristiche organizzative che consentano di
minimizzare l’intervallo di tempo fra arrivo del paziente e inizio del
trattamento, e che assicurino una monitorizzazione accurata dello stato
neurologico e della pressione arteriosa per le 24 ore
successive al trattamento. La selezione dei pazienti candidati alla trombolisi
deve essere accurata, secondo criteri di esclusione atti a ottimizzare il
rapporto rischi/benefici del trattamento. Nei centri con provata esperienza di
neuroradiologia
interventistica, nel caso di occlusione dei tronchi arteriosi maggiori (carotide interna, tronco principale dell’arteria
cerebrale media, arteria basilare) con elevato rischio di morte
o gravi esiti funzionali possono essere utilizzate tecniche avanzate con l’uso
di farmaci trombolitici per via arteriosa, associate o meno a manovre meccaniche
(angioplastica,
tromboaspirazioni, recupero del trombo).
Antiaggreganti e anticoagulanti
L’aspirina (antiaggregante piastrinico) viene prescritta in fase acuta (a un dosaggio consigliato di 300 mg) in tutti i pazienti con l’esclusione di quelli candidati al trattamento trombolitico (nei quali può essere cominciato dopo 24 ore) o con indicazione al trattamento anticoagulante. In alternativa (per i pazienti già in trattamento con aspirina prima dell’ictus e per quelli che hanno controindicazioni all’uso dell’aspirina) si utilizzano ticlopidina, clopidogrel o dipiridamolo.
I pazienti con fibrillazione atriale non valvolare vengono trattati con terapia anticoagulante orale come pure i pazienti con altra eziologia cardioembolica che hanno un elevato rischio di recidiva precoce (valvulopatie con o senza fibrillazione atriale), o fra 2,5 e 3,5 (protesi valvolari meccaniche). Nei casi con patologia aterotrombotica dei vasi
arteriosi extracranici che, malgrado adeguata terapia antiaggregante, presentano
ripetute recidive, è indicata la terapia anticoagulante orale.
Emorragia
cerebrale
In caso di emorragia intracerebrale spontanea non vi è alcuna superiorità in
termini di beneficio del trattamento neurochirurgico precoce rispetto al
trattamento inizialmente conservativo. Il trattamento chirurgico dell’emorragia cerebrale è tuttavia indicato in alcuni casi (emorragie cerebellari di diametro superiore a 3 cm; emorragie lobari di grandi o medie dimensioni in rapido deterioramento; emorragie intracerebrali associate ad aneurismi o a malformazioni artero-venose se accessibili chirurgicamente). Sono in sperimentazione farmaci che permettono di contrastare l’espansione dell’emorragia. Il
trattamento generale coincide con quello dell’ictus ischemico.
Trattamento
generale
Nelle prime 48 ore dall’esordio di un ictus vengono sorvegliate le funzioni
vitali (ritmo cardiaco e frequenza cardiaca, pressione arteriosa, saturazione dell’ossigeno nel sangue e temperatura) e lo stato neurologico (monitoraggio). Vanno prevenute le infezioni urinarie (evitando, per esempio il catetere vescicale) e polmonari e va posta particolare attenzione allo stato nutrizionale del paziente, tenendo presente che è importante riconoscere la presenza di un disturbo della deglutizione (disfagia). Vanno prevenute anche le trombosi venose profonde in pazienti a rischio elevato. Vanno trattate le eventuali crisi epilettiche e l’edema cerebrale. Di particolare importanza è la mobilizzazione precoce, ossia la possibilità di far
muovere il paziente, già nelle prime ore dopo l’ictus. Le esigenze globali del
paziente che ha subito un ictus possono essere così sintetizzate:
- minimizzare il rischio di morte del paziente per cause cerebrali,
cardiocircolatorie, respiratorie, infettive, metaboliche; - contenere gli esiti della malattia limitando il danno cerebrale e le sue
conseguenze; - evitare le recidive di danno vascolare dell’encefalo;
- limitare la comorbosità
conseguente al danno neurologico, alle condizioni cardiocircolatorie e
all’immobilità; - favorire il recupero delle abilità compromesse dall’ictus allo scopo di
promuovere il reinserimento sociale e di utilizzare le capacità operative
residue; - definire la prognosi del quadro clinico osservato
e i bisogni a questo correlati, al fine di agevolare la riorganizzazione precoce
dell’attività del paziente e soddisfare la sua richiesta di
assistenza.
Riabilitazione
Il recupero funzionale dell’arto superiore e la rieducazione del controllo
posturale e della deambulazione rappresentano obiettivi a breve e medio termine
del progetto riabilitativo. Il trattamento dei disturbi del linguaggio (afasia)
richiede preliminarmente una dettagliata valutazione da parte di operatori competenti e il coinvolgimento di un terapista del linguaggio (logopedista, Neuropsicologo) ed è mirato a recuperare la capacità di comunicazione globale, di comunicazione linguistica,
di lettura, di scrittura e di calcolo oltre che a promuovere strategie di
compenso atte a superare i disordini di comunicazione e ad addestrare i
familiari alle modalità più valide di comunicazione.
Dopo la fase acuta, la cura può proseguire in strutture specializzate per la
riabilitazione, tenendo conto delle esigenze a lungo termine del soggetto
colpito. Le attività assistenziali a fini riabilitativi dopo un ictus hanno
caratteristiche distinte a seconda dell’epoca di intervento e richiedono il
contributo di operatori diversi, a seconda degli obiettivi consentiti dalle
condizioni cliniche, ambientali e delle risorse assistenziali disponibili.
Il progetto riabilitativo dovrebbe essere il prodotto dell’interazione tra il
paziente e la sua famiglia e un team
interprofessionale (fisioterapisti, infermieri, fisiatri, neurologi, terapisti
occupazionali, riabilitatori delle funzioni superiori e del linguaggio),
coordinato da un esperto nella riabilitazione dell’ictus. Il team si riunisce
periodicamente per identificare i problemi attivi, definire gli obiettivi
riabilitativi più appropriati, monitorare i progressi e pianificare la
dimissione. I dati attualmente disponibili non consentono di documentare una
maggiore efficacia di alcune metodiche rieducative rispetto ad altre. Nel
contesto di un progetto riabilitativo comprendente tecniche volte a compensare i
deficit, si prevede talvolta la possibilità di utilizzare presidi come ortesi e ausili. È utile che i familiari
del soggetto colpito da ictus vengano informati, in maniera chiara, sulle
conseguenze dell’ictus, soprattutto in termini di deterioramento cognitivo,
incontinenza sfinterica e disturbi psichici, oltre che sulle strutture locali e
nazionali fruibili per l’assistenza al soggetto malato. Gli operatori sociali,
al fine di organizzare e supportare le risorse disponibili, ma anche di
contenere lo stress dei familiari del soggetto colpito da ictus. Anche i
pazienti più anziani possono essere riabilitati: è importante che in questi casi
la riabilitazione sia guidata da un processo di valutazione multidimensionale
geriatrica. Ogni paziente, ancora disabile a distanza di sei mesi o più da un
ictus andrebbe ri-valutato al fine di definire le ulteriori esigenze
riabilitative, da realizzare se appropriate.
Circa un terzo dei pazienti colpiti da ictus va incontro a depressione.
Questi pazienti lamentano molti segni fisici di depressione (stanchezza,
disturbi del sonno, di concentrazione, dell’appetito, etc.). La depressione
post-ictus aumenta il rischio di mortalità sia a breve sia a lungo termine dopo
l’evento ictale; rappresenta un fattore prognostico sfavorevole sullo stato
funzionale del paziente sia a breve sia a lungo termine; aumenta il rischio di
cadute del paziente e ne peggiora la qualità di vita. In questi casi è opportuno
cominciare precocemente un trattamento antidepressivo, anche per ridurne
l’impatto sfavorevole sull’attività riabilitativa.
La malattia
cerebrovascolare comporta un aumento del rischio di decadimento cognitivo e la
demenza vascolare rappresenta la seconda più frequente forma di decadimento
cognitivo cronico. Circa il 20%-25% dei casi di demenza è infatti dovuto alle
malattie cerebrovascolari.
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