Le malattie neurologiche

[box]
Le malattie neurologiche sono di competenza della neurologia, per il loro
studio e la loro diagnosi. La
neurologia si interessa di queste malattie sulla base della sede della lesione
al cervello e assume che le malattie neurologiche siano in stretta relazione con
la sede della lesione.
In altri termini, ciò significa che lesioni in sedi diverse del cervello,
producano sintomi diversi – anche se le lesioni sono state provocate dalla
stessa malattia o causa e che malattie neurologiche diverse, se interessano la
stessa lesione del sistema nervoso, possano produrre sintomi e segni simili o identici fra loro.
Assunto ciò, bisogna tenere presente, quindi, che in ambito della neurologia
non si può considerare una malattia neurologica se non in stretta relazione con
la sede anatomo-funzionale del sistema nervoso in cui si manifesta.
Procedimento
diagnostico
La prima fase della diagnosi è la ricostruzione della storia clinica del
paziente, della registrazione dei sintomi che manifestano il disturbo, della
loro modalità d’esordio ed evoluzione.
Occorre dunque considerare:
- un parametro temporale: quando è insorto il disturbo? da cosa è stato
causato? - un parametro evolutivo: come si è aggravato nel tempo e con quale
intensità? - un parametro di aggregazione dei sintomi: quali sintomi si sono aggregati
nel tempo ai preesistenti?
La diagnosi deve coinvolgere oltre al paziente, anche gli informatori, quindi
i parenti, e i pazienti vanno considerati anche in base alle loro terapie in
atto o pregresse, considerando come eventuali farmaci (anche se non necessariamente psicotropi)
possano influenzare il funzionamento del sistema nervoso centrale.
La diagnosi globale unisce l’anamnesi cognitivo-comportamentale
all’esame neurologico obiettivo, la rivelazione di segni di un’eventuale lesione
del sistema nervoso centrale, volto a indagare l’integrità dei sistemi
funzionali (ad esempio, quelli motori o sensitivi).
Soltanto attraverso questa integrazione si potrà permettere la formulazione
delle ipotesi localizzatorie (dove si trova la lesione nel cervello) e le
ipotesi diagnostiche (qual è la malattia o la causa che ha provocato il
disturbo).
Infine, si possono selezionare, da questo momento, le indagini diagnostiche
di tipo strumentali volte a confermare o disconfermare le ipotesi diagnostiche
da verificare.
Classificazione delle patologie neurologiche
Come per altre patologie mediche, le patologie neurologiche vengono
classificate in base al meccanismo patogenetico.
Vanno quindi distinte:
- Malattie cerebrovascolari;
- Malattie infettive e infiammatorie;
- Malattie neoplastiche;
- Malattie degenerative;
- Malattie traumatiche.
Una considerazione a parte merita invece l’epilessia.
Le malattie cerebrovascolari sono la terza causa di morte e la prima di disabilità nell’adulto.
Il quadro clinico è caratterizzato da un’insorgenza repentina – nel giro di
pochi minuti – di segni o sintomi dovuti a danno focale, cioè limitato a un’area
ben circoscritta del cervello.
La morte per causa neurologica avviene, nella maggior parte dei casi, in
conseguenza di un disturbo cerebrovascolare, di natura repentina, che può
provocare immediatamente una serie di complicanze come paralisi o afasia.
Questa patologia si indica anche con i termini di “ictus” o di “stroke” (“colpo”).
Esistono due tipi di meccanismi vascolari a provocare lo stroke, e di
conseguenza, due tipi di ictus, sebbene mantengano alcune caratteristiche
patogenetiche comuni: lo stroke può essere ischemico o emorragico.
Entrambi i tipi di disturbo aumentano la loro probabilità di insorgenza con
l’avanzare dell’età e sono molto frequenti nelle diagnosi neuropsicologiche.
Vi sono inoltre dei fattori di rischio che rendono più probabile l’insorgenza
dello “stroke”: ipercolesterolemia, vita sedentaria, obesità, fumo, alcol,
ipertensione arteriosa.
L’intervento clinico, in questi casi, al fine di ripristinare le funzioni
psichiche è possibile solo quando il disturbo vascolare cerebrale si è già
stabilizzato, dopo circa venti giorni dopo il “colpo”, e l’intervento consiste
per lo più in un programma riabilitativo.
Un sintomo tipico, in seguito a “stroke” è l’afasia, che tuttavia deve essere
localizzata in una sede del cervello.
Le lesioni si notano bene con la tomografia computerizzata (TC), ma
solo dopo qualche giorno, e invece molto male con la risonanza magnetica: per l’appunto, tutte le malattie cerebrovascolari si possono
vedere solo dopo qualche giorno il “colpo” e non subito.
Invece le malformazioni arteriovascolari possono essere evidenziate con
arteriografia o angiografia
(arteriografia in risonanza magnetica).
Le arterie
vertebrali confluiscono nell’arteria cerebrale, che si divide in anteriore,
media e posteriore.
Le ischemie e le emorragie possono riguardare ciascuno dei due rami: nelle
ischemie un’occlusione impedisce il passaggio del sangue a tutta l’arteria (ad
esempio, l’arteria cerebrale media).
Studi epidemiologici mostrano come le malattie cerebrovascolari sono quelle a
frequenza maggiore fra le malattie neurologiche.
L’esame neurologico, che rileva i disturbi, viene poi approfondito con
l’esame neuropsicologico, allorché i sintomi si sono stabilizzati. L’esame
neuropsicologico consiste in una zoomata ancor più specifica dell’esame
neurologico, e poiché i sintomi cambiano continuamente, è prassi ripetere
l’esame nuovamente dopo circa venti giorni, attendendo la stabilizzazione dei
sintomi.
Attacco ischemico
transitorio
L’attacco ischemico transitorio o TIA, dall’inglese
transient ischemic attack, è causato da un disturbo temporaneo di
irrorazione sanguigna ad una parte limitata del cervello, e si manifesta con un
deficit neurologico che permane, per definizione, per un periodo inferiore alle
24 ore; se i sintomi persistono per un tempo maggiore si parla di “ictus” (in
inglese stroke).
I sintomi sono molto variabili da paziente a paziente, a seconda
dell’area cerebrale coinvolta. I sintomi più frequenti includono la cecità
temporanea o amaurosi transitoria, l’incapacità di parlare o afasia, la
debolezza di una metà del corpo o emiparesi e la ipoestesia (diminuzione della
sensibilità) o il formicolio della cute, di solito ad una metà del corpo. La
perdita di conoscenza è decisamente poco frequente.
La principale causa di TIA è un embolo (piccolo coagulo) che
occlude un vaso arterioso cerebrale. Esso nasce generalmente dalla rottura di
una placca ateromasica o aterosclerotica in una delle arterie carotidi o da un
coagulo originatosi in un atrio cardiaco in seguito a fibrillazione atriale.
Altre cause sono il restringimento (stenosi) di grossi vasi dovuto a placche
aterosclerotiche, e l’aumento di viscosità del sangue. Il TIA è correlato con
altre condizioni patologiche come l’ipertensione, malattie cardiache
(specialmente fibrillazione atriale), ipercolesterolemia, fumo e diabete
mellito. Un TIA può essere facilitato dall’uso di farmaci usati in psichiatria
come l’olanzapina.
Fondamento della terapia dopo un TIA deve essere la diagnosi ed il
trattamento della causa determinante. Non è sempre possibile distinguere subito
un TIA da un ictus. La maggior parte dei pazienti ai quali viene diagnosticato
in un dipartimento d’emergenza un TIA pregresso viene dimessa ed inviata al
medico di famiglia per procedere alle opportune indagini. Un TIA può essere
considerato un “ultimo avviso”. La causa dell’evento dovrebbe essere
immediatamente cercata con un esame neuroradiologico del cervello. La terapia di
prima scelta è l’acido acetilsalicilico (aspirina); di seconda
indicazione il clopidogrel o la ticlopidina. In caso di TIA ricorrenti in
trattamento con acido acetilsalicilico è indicata l’associazione ac.
acetilsalicilico – dipiridamolo.
Stroke emorragico
L’ictus emorragico (o emorragia cerebrale) consiste nella rottura di un vaso
e conseguente spargimento di sangue nella zona circostante. Il tessuto nervoso
va in necrosi da infarcimento emorragico.
Le cause più frequenti della rottura del vaso che provoca l’ictus sono i
traumi, le crisi ipertensive, la rottura di aneurismi cerebrali e delle malformazioni artero-venose.
In base alla sede possiamo classificare i vari tipi di emorragie:
- emorragia intracerebrale (o intraparenchimale: una raccolta di sangue
all’interno del cervello); - emorragia subaracnoidea (una raccolta di sangue nel liquor nello spazio fra
pia madre e aracnoide); - emorragia epidurale (una raccolta di sangue fra la teca cranica e la dura
madre); - emorragia subdurale (una raccolta di sangue al di sotto della dura
madre).
La causa di queste forme è solitamente traumatica.
Le malformazioni cliniche dell’emorragia intraparenchimale non presentano
caratteristiche patognomiche tali da differenziarlo con certezza da ictus
ischemico: entrambe le forme sono caratterizzate da insorgenza acuta di sintomi
focali dipendenti dalla sede dell’ematoma e il quadro clinico si sovrappone a
quello dell’ictus ischemico, con la differenza che la patologia non è
riconducibile a un territorio vascolare definito. Inoltre, al danno focale si
somma l’effetto meccanico dell’accumulo di sangue (ematoma), che agisce come una
massa in espansione, comprimendo e dislocando i tessuti circostanti, e come nel
caso dell’ischemia, l’aumento della massa dentro la scatola cranica induce un
aumento di pressione. La sede è infatti un indice affidabile di una causa
primaria (emorragia ipertensiva, dove la rottura avviene in tipiche strutture
del cervello, come i nuclei della base, il cervelletto, il ponte del tronco) o
secondaria a rottura di aneurisma.
L’emorragia subaracnoidea si manifesta con un quadro clinico patognomonico:
cefalea acuta e improvvisa tipicamente nucale, possibile perdita di coscienza
all’esordio, crisi epilettiche. In molti casi si associa a un danno nel
parenchima circostante (per ematoma e/o per danno ischemico tardivo per
successivi fenomeni di vasospasmo).
La causa più frequente dell’emorragia subaracnoidea è la rottura di aneurismi
intracranici spesso localizzate nei punti di biforcazione delle arterie, in
particolare nel circolo di Willis, una regione inferiore del cervello dove si
concentrano gli aneurismi e che si vede con l’arteriografia, un esame che mette
in evidenza il decorso delle arterie al cervello. La rottura dell’aneurisma
dell’arteria comunicante porta poi alla sindrome frontale.
L’aneurisma è una deformazione di un’arteria, che può rompersi se sottoposta
a pressione e portare a un’emorragia.
Le ischemie o le emorragie possono essere provocate da edema, ossia un
rigonfiamento che determina una compressione (effetto massa) sulle strutture
come il bulbo e il ponte, dove sono presenti i centri nervosi che controllano la
respirazione e il battito cardiaco.
La TC è particolarmente indicata per valutare la presenza di ictus emorragico
(è affidabile nell’evidenziare la presenza di sangue).
Malattie
infettive e infiammatorie
Le malattie infettive del sistema nervoso centrale possono essere
classificate in base alla sede dell’infezione (come per le meningiti o le
encefaliti) o in base all’agente eziologico (virus o batteri).
Il quadro clinico, per le meningiti, è composto da segni di irritazione alle
meningi (cefalea, rigidità nucale, alterazione dello stato di coscienza,
coma).
Talvolta si presentano anche febbre ed epilessia.
I sintomi sono focali e dipendono dal processo infettivo.
Dal punto di vista neuropsicologico, il quadro infettivo più noto è
l’encefalite herpetica, provocato da un virus noto come herpes simplex di tipo
1.
L’infezione causa un’elevata mortalità, seppur ridotta rispetto a molti
decenni fa grazie all’azione degli antivirali, e gravi sequele cognitive.
L’encefalite herpetica, infatti, provocava un edema che fino agli anni
novanta portava sempre alla morte.
Il virus si localizza a livello della corteccia temporale, fronto-orbitaria e
del lobo limbico.
Nella fase acuta di insorgenza, i sintomi principali sono: disorientamento,
confusione virale, crisi epilettiche, demenza encefalica.
Le cause sono ignote.
Sebbene la mortalità si sia ridotta grazie agli antivirali e alla diagnosi
tempestiva, permangono vari residui cognitivi.
I siti preferenziali di aggressione del virus sono i lobi temporali-mediali e
temporali-inferiori.
Il paziente ha un’amnesia anterograda e amnesia semantica, con perdita della
conoscenza degli oggetti, poiché nelle facce del lobo temporale sono contenute
proprio le informazioni semantiche.
In particolare, della memoria semantica, è intaccata la memoria categoriale,
ovvero solo alcune categorie semantiche sono intaccate: per esempio, sa come
funziona la lavatrice, ma dice che il serpente ha le zampe.
Per questo vengono spesso indicati come “pazienti bizzarri”.
L’encefalite herpetica si diagnostica con un prelievo del liquor
cerebrospinale e in seguito a un esame di laboratorio di tipo neurologico,
inserendo un ago fra le vertebre nello spazio extradurale, dove permane il
liquor.
Se risulta la presenza di un anticorpo contro il virus herpes simplex in
quantità eccessive si deduce vi sia il virus.
Un’altra malattia infettiva è la malattia di Jakob-Creutzfeld, che provoca
una demenza a sviluppo rapido.
Il paziente si indementisce e muore nel giro di poco tempo. La causa è
ignota, ma pare che la malattia sia la variante umana delle “sindrome della
mucca pazza”.
Infine, è nota la demenza a seguito di Aids, conosciuta con il nome di AIDS
Dementia Complex, che provoca un decadimento cognitivo progressivo, seppur molto
diverso dalle demenze di tipo Alzheimer.
È caratterizzata da disturbi attentivi e motori, con un quadro simile a
quello della malattia di Parkinson, laddove i disturbi cognitivi sono secondari
a quelli motori.
Le malattie infiammatorie sono dette anche demielinizzanti, caratterizzate
per questo dalla perdita di mielina, la guaina che riveste gli assoni.
Il prototipo di queste patologie è la sclerosi multipla, una malattia tipica
dell’età giovanile e associata a gravi disabilità; si caratterizza per le
lesioni demielinizzanti multifocali con comparsa in tempi diversi.
La sintomatologia clinica riflette la sede focale di demielinizzazione, con
interessamento di qualsiasi altra parte del sistema nervoso e quindi con
possibile comparsa di deficit motori, sensitivi e visivi.
La compromissione cognitiva è frequente, anche se un quadro demenziale si
osserva solo in una piccola percentuale di pazienti. La degenerazione
progressiva della guaina mielinica fa sì che la malattia aggredisca per lo più i
neuroni lunghi.
Poiché gli assoni mielinizzati sono provvisti di sostanza bianca, sarà
opportuno usare la Risonanza Magnetica che è l’unica diagnosi strumentale che
può separare la sostanza bianca dalla sostanza grigia.
Più precoce è il sintomo, più grave è la prognosi della malattia e con i test
sui tempi di reazione ci si accorge che gli stessi sono rallentati e i sintomi
che emergono sono di tipo motorio, cognitivo, attentivo, sensitivo (deficit nel
campo visivo, attraverso diagnosi degli assoni del nervo ottico).
Malattie
neoplastiche
La malattie neoplastiche si riferiscono ai tumori cerebrali, e si
giustificano dal fatto che nel sistema nervoso centrale possono esistere cellule
immature, gliali o meningee, che costituiscono neoplasie primitive, oppure
metastasi di tumori sviluppatesi in altri organi (di solito tumori polmonari o
mammari).
I tumori cerebrali di distinguono in primari e secondari, laddove i primi
consistono in neoplasie intraparenchimali, cioè tumori che coinvolgono e si
originano l’interno del cervello e del tessuto nervoso (come i gliomi, gli
atrocitomi, i blastomi e i glioblastomi), i secondi sono rappresentati invece in
tumori che si originano al di fuori del sistema nervoso centrale e del tessuto
parenchimale, ma che esercitano conseguenza al cervello (come i meningiomi o le
metastasi polmonari o mammarie).
I tumori più frequenti sono i gliomi (circa il 50%), i tumori delle cellule
gliali, seguiti dai meningiomi.
Il grado di benignità/malignità è determinato dal grado di differenziazione
delle cellule neoplastiche, che condizionano la capacità di crescita e
l’invasività, ma anche la sede della neoplasia.
Infatti, un tumore istologicamente benigno può divenire maligno se si trova
localizzato in una sede non aggredibile chirurgicamente.
Il glioblastoma multiforme è la forma più maligna di tumore cerebrale e
comprende circa il 20% dei tumori primitivi.
Il quadro clinico dei tumori cerebrali è caratterizzato dai seguenti
elementi, in ordine di frequenza:
a) alterazione delle funzioni cerebrali (motorie, sensitive e cognitive); b)
crisi epilettiche; c) stati confusionari.
L’esordio dei tumori cerebrali è subdolo e progressivamente
ingravescente.
I sintomi più frequenti sono così rappresentati:
- cefalea, dovuta a sviluppo di ipertensione endocranica (provocata da aumento
della massa tumorale dentro la scatola cranica e dalla compressione/dislocazione
del parenchima o tessuto cerebrale e del sistema ventricolare; - rallentamento ideomotorio
- confusione
- crisi epilettiche (in un caso su tre) a esordio parziale.
I tumori cerebrali per lo psicologo clinico, come per lo psichiatra o lo
psicoterapeuta, rappresentano un serio rischio di errore professionale, che è
sempre in agguato in qualunque età e in qualunque situazione.
Il tumore cerebrale ha un’elevata recidiva, sparisce e si ripresenta, e
risulta difficile che il paziente venga sottoposto a terapie di tipo non
medico.
Diagnosi e
prognosi
L’insorgenza del sintomo è graduale, e il paziente non ricorda quando siano
cominciati, a causa dei disturbi di memoria provocati dal tumore. Le proprietà
del sintomo sono due: a) una sfumata localizzazione dell’insorgenza e b) una
progressiva ingravescenza.
Se il paziente è sospetto, è bene inviarlo al neurologo, poiché, eccezion
fatta per un riscontro diagnostico in seguito a Tc o Risonanza Magnetica, niente
può escludere la possibilità di un tumore cerebrale.
La diagnosi, come in tutte le altre patologie e deficit, deve sempre essere
impostata su tre parametri: 1. Parametro temporale (Quando insorge il sintomo?):
i sintomi, nel tumore cerebrale, devono essere insorti in un periodo piuttosto
recente (6-12 mesi). Spesso il paziente non sa rispondere sull’origine dei
sintomi; 2. Parametro evolutivo (Come evolve? Come peggiora? A quale velocità?):
i sintomi peggiorano progressivamente e sono puramente psichici. 3. Parametro
aggregativo (Come i sintomi si aggregano ad altri? Quali sono?): i sintomi
tendono ad associarsi ad altri, ad esempio, prima può verificarsi un disturbo
alla memoria, a cui poi si aggiunge un disturbo di scrittura, poi anche di
calcolo e così via.
A causa del tumore cerebrale si muore nell’arco di 4 o 5 anni.
Inoltre, per valutare la stadiazione delle demenze, si può confrontare il
livello di scrittura recente con i campioni della scrittura prima dell’insorgere
del quadro demenziale.
Terapie per i
tumori cerebrali
Sono di due tipi: il primo è la terapia chirurgica, il secondo la
radioterapia.
Ad esempio, nel caso di tumore all’ipofisi, si procede rimuovendo l’adenoma
ipofisario nel lobo frontale, concentrando tutti i raggi X in un unico punto
(questa tecnica radioterapica è anche definita “gamma knife”).
Se un tumore si trova nelle aree motorie, risulta facilmente visibile, perché
ci si muove spesso; ma nel lobo frontale risulta più problematico accorgersene
in tempo, perché la stima, la pianificazione sono funzioni che vengono
utilizzate più raramente.
Malattie
degenerative
Le malattie degenerative sono malattie neurologiche contraddistinte da
progressiva perdita delle funzioni motorie o di quelle cognitive, e tutte
caratterizzate dall’evoluzione ingravescente nel tempo della malattia.
Non sono del tutto noti i meccanismi patogenetici primari, e non esiste
un’eziologia omogenea.
L’esordio della malattia è insidioso e gradualmente ingravescente,
determinato da riduzione progressiva del numero dei neuroni.
Il quadro clinico include:
- sintomi sensitivo-motori (malattie da disturbo motori)
- sintomi mentali (malattie da demenze progressive).
Per alcune forme si riconosce una familiarità o una trasmissione
genetica.
Da questa prima suddivisione è possibile fornire una prima classificazione
delle malattie degenerative.
Infatti esistono patologie degenerative dove i sintomi mentali prevalgono su
quelli motori (demenze progressive), altre dove i sintomi motori prevalgono su
quelli cognitivi (parkinsonismi o malattie da disturbi motori): tuttavia sarà
utile tenere presente che i suddetti quadri, in molte tipologie di malattie,
tendono a sovrapporsi.
Demenze o
deterioramento cognitivo
La demenza, o “decadimento cognitivo generalizzato” è uno stato di
deterioramento psichico detto “generalizzato” perché coinvolge tutti i processi
cognitivi, ovvero, la malattia aggredisce, dunque, aree molto diverse del
cervello e intacca le varie funzioni a esse corrispondenti, soprattutto la
memoria, il linguaggio, le funzioni prassiche, l’attenzione, i processi di
decodifica delle informazioni.
Ciò comporta un decadimento del funzionamento cognitivo più generale.
In altri termini, la malattia non intacca selettivamente una singola
funzione, ma aggredisce diverse aree del cervello e le tante funzioni a loro
corrispondenti, per lo più di tipo cognitivo, contribuendo a determinare un
declino del funzionamento cognitivo globale e un quadro fortemente invalidante e
compromettente l’efficienza adattativa, lavorativa e sociale del paziente.
La demenza è una malattia tipicamente senile, poiché la frequenza di queste
malattie aumenta in relazione all’avanzare dell’età.
Non di meno, la definizione di demenza viene fornita per la prima volta da un
comitato di geriatria, quello del Royal College nel 1981: “La demenza consiste
nella compromissione globale delle funzioni cosiddette corticali superiori, ivi
compresa la memoria, la capacità di far fronte alle richieste della vita di
tutti i giorni, di svolgere le prestazioni percettivo – motorie acquisite in
precedenza, di conservare un comportamento sociale adeguato alle circostanze e
di controllare le proprie reazioni emotive, tutto ciò in assenza della
compromissione dello stato di vigilanza”
I sintomi demenziali possono essere, tuttavia, anche un sintomo di una forma
tumorale avanzata o la conseguenza di un trauma cranico.
Occorre, inoltre, distinguere il demente dal ritardato mentale, poiché il
primo aveva in passato raggiunto un alto livello di efficienza cognitiva, che
poi è decaduto, invece il secondo è sempre stato con un livello di efficienza
cognitiva basso.
La diagnosi di demenza è dunque possibile soltanto se, in seguito alle
valutazioni e l’anamnesi, che il paziente manteneva precedentemente un più alto
livello di funzionamento cognitivo rispetto a quello attuale e si deve quindi
poter dimostrare l’avvenuto peggioramento del detto funzionamento.
Il parametro diagnostico fondamentale è dunque il progressivo e ingravescente
peggioramento dell’efficienza mentale nel tempo, poiché non esiste nemmeno un
parametro definibile come “normale” o “anormale”, allorché anche un paziente con
ritardo mentale o un paziente con sindrome di Down, potrebbero aver incorso in
demenza, sempre che l’attuale livello di funzionamento risulti ancora più basso
del precedente raggiunto, sebbene sotto la norma.
Le demenze sono così classificate:
- reversibili: le forme demenziali transitorie dovute, ad esempio, a
intossicazione da alcol o da farmaci; - irreversibili: le forme demenziali peggiorative nel tempo, che coincidono
con la maggior parte delle demenze; - demolitive: le forme demenziali che rimangono stazionarie, come le demenze
pugilistiche.
Una forma di demenza irreversibile è la demenza vascolare, provocata da
lesioni sparse a varie aree cerebrali, corticali e sottocorticali, come quelle
del linguaggio e del calcolo (area parietale), della lettura (area temporale),
della memoria (area mediale).
I sintomi sono da rintracciare in deficit delle varie funzioni cognitive.
Malattia di
Alzheimer
Una forma di demenza irreversibile, quelle più nota, è la malattia di
Alzheimer, una malattia senile che ha il suo esordio in genere dopo i 65 anni di
età (4% della popolazione generale), per moltiplicare di molte volte il rischio
d’insorgenza della malattia con l’aumento dell’età (20% della popolazione
generale dopo gli 80 anni).
La malattia, come anche le malattie vascolari, è correlata particolarmente
con l’età avanzata.
Nel cervello dell’Alzheimer devono essere presenti il Beta-amiloide e la
matassa neurofibrillare, individuato con la PET e che ha reso possibile la
diagnosi di Alzheimer senza l’esame istologico, che comportava il prelievo e
l’analisi di un pezzo di cervello del paziente post-mortem.
Ciò ha permesso di valutare la struttura parieto-temporale del cervello che
nel malato di Alzheimer funziona ad attività ridotta.
Infatti, nel cervello del paziente è evidente l’atrofia cerebrale, segno
della morte dei neuroni, che fa ridurre il volume complessivo del cervello.
Le tecniche diagnostiche computerizzate, come la TC e la MRI, permettono di
costatare gli effetti dell’atrofia.
Le forme di Alzheimer precoce, fra i 45 e i 50 anni sono molto rare e a
evoluzione rapida e familiare.
I primi sintomi che compaiono sono:
- disturbi della memoria: episodica e anterograda, ovvero il malato, nelle sue
fasi iniziali, non ricorda informazioni ed eventi avvenuti da poco. - anosognosia: non è cosciente della malattia, nega il sintomo più che
evidente per gli altri. - afasia, agnosia: talora esordienti in modo atipico.
L’Alzheimer, come più in generale, le demenze, differiscono dal MCI (le forme
di smemoratezza senile), perché queste forme sono del tutto naturali
nell’anziano, che perde la flessibilità mentale per cause fisiologiche e legate
all’età, ma che non peggiorano come per la demenza.
Questa distinzione è utile per la prima fase della diagnosi
differenziale.
Effetto dell’atrofia:
- Il volume del cervello si riduce e si riempie di liquor;
- I ventricoli si allargano.
Con la TC o RM si può vedere solo l’atrofia, non il Beta-amiloide né la
matassa neurofibrillare.
Le forme di Alzheimer precoce (45-50 anni) e non sporadiche (oltre i 65 anni)
sono molto rare e di evoluzione rapida e familiare.
Sintomi:
- Demenza (che tuttavia non insorge subito)
Prima cominciano a insorgere:
- Disturbi di memoria (episodica anterograda, l’Alzheimer nelle sue fasi
iniziali non ricorda informazioni successe da poco). - Anosognosia (non è cosciente della malattia, ovvero gli altri vedono il
sintomo ma lui lo nega) - In alcuni casi sviluppano anche afasia e agnosia con esordi
atipici.
Caratteristiche cliniche:
- L’Alzheimer peggiora
- Il nuovo sintomo si aggrega ai preesistenti
- Possono aggiungersi afasie, agnosia e aprassia
Con le aprassie, per esempio, l’Alzheimer non riesce più a fare una sequenza
di azioni in maniera ordinata: a) Non riesce più a cucinare b) Diventa
disordinato nel vestirsi (aprassia dell’abbigliamento: mette, ad es., i calzini
sopra le scarpe) c) Resta sempre a letto d) Muore a letto
L’Alzheimer può durare anche 10 anni.
Si è scoperto che l’avere avuto in età giovanile un grosso volume di attività
mentale/cognitiva (quindi nei primi 30 anni) rappresenta un grosso fattore di
protezione contro l’Alzheimer, così come l’essere vissuto in un ambiente di
sviluppo stimolante provoca un numero di sinapsi molto superiore. Diagnosi di
Alzheimer. Si può formulare in due modi: a) Attraverso la neuropatologia
(diagnosi istologica) b) Attraverso l’esame neuropsicologico (esame clinico):
Alzheimer probabile.
Attraverso la TC o MRI si può vedere che la parte parietale del cervello non
funziona.
Tecniche che si basano sugli inibitori delle acetilcolinesterasi, nelle zone
ippocampali (temporali e mediali), hanno mostrato la presenza di più neuroni
colinergici (che sono compromessi in caso di Alzheimer).
Nell’ippocampo, infatti, vi sono molti neuroni colinergici. Gli inibitori
delle acetilcolinesterasi sono degli enzimi che decompongono l’acetilcolina
liberata nello spazio post-sinaptico. Alcuni dati dimostrano che si verificano
dei miglioramenti nello stato emozionale (è meno aggressivo, è più tranquillo),
ma non nella demenza. L’acetilcolina è il neurotrasmettitore della memoria, e
per effetto degli enzimi resta per più tempo nello spazio sinaptico.
L’evoluzione dell’Alzheimer va a intersecarsi con i problemi medici
generali.
L’Alzheimer si riconosce soltanto con l’esame neuropsicologico e non con la
diagnosi strumentale, e la diagnosi principale dell’Alzheimer si ha solo
attraverso la valutazione clinica. Con gli esami strumentali si riscontra
soltanto l’atrofia, che però non è correlata dal punto di vista anatomo-clinico
dal sintomo (infatti, molti presentano il sintomo pur non avendo un cervello
alterato; e al contrario, tanti hanno l’atrofia ma non il sintomo). È facile
comprendere all’inizio se un paziente è un demente, poiché all’inizio egli
presenta sintomi molto sfumati e per questo può essere confuso facilmente con
altri quadri simili:
- MCI (smemoratezza senile)
- Depressione dell’anziano (è accompagnato da riferiti sintomi cognitivi,
racconta che non ricorda bene, ma non è vero) - Pseudo-demenza senile
L’unico sistema diagnostico valido è quello di sospendere il giudizio e di
ricontrollare il paziente a distanza di tempo (ad es. 6 mesi), in modo tale da
vedere se peggiora o no. Il neuropsicologo è poi coinvolto con tecniche di tipo
riabilitativo, deve cioè ridurre gli effetti dei sintomi dell’Alzheimer sulla
vita quotidiana.
Altre forme
demenziali
Le demenze più note, oltre l’Alzheimer, sono:
- Demenza
di Pick - Demenza Fronto-temporale
- Corea di Huntington
- Malattia
di Parkinson
Demenza di Pick
Il rapporto fra i dementi di Pick e quelli di Alzheimer è 1/20. L’atrofia è
presente sul lobo frontale. Mostrano:
- Deficit dell’interazione sociale
- Apatia (disturbi dell’umore)
- Irritabilità
- Aggressività.
Demenza Fronto-temporale
È una forma di demenza semantica, dove il disordine cognitivo è più marcato
nella memoria semantica, rispetto a quella episodica anterograda
dell’Alzheimer.
Il rapporto fra questa forma di demenza e quella dell’Alzheimer è 1/100.
Demenze
sottocorticali
La malattia di Parkinson è il prototipo delle malattie degenerative con
prevalenti disturbi del movimento.
Come l’Alzheimer è una patologia sporadica e non si conosce la causa.
Sintomatologia clinica:
- Sintomi motori (tremore a riposo)
- Bradicinesia (lentezza nei movimenti)
- Rigidità (aumento del tono muscolare, cammina a piccoli passi e ha scarsa
mobilità facciale).
La malattia è definita “extrapiramidale” (il sistema piramidale controlla i
movimenti volontari), perché sono coinvolti i gangli della base.
I gangli della base, se lesionati, pregiudicano i sintomi, come il tremore,
ma se è impegnato in un’attività finalizzata allora non trema.
La malattia è legata alla riduzione della produzione di dopamina nei gangli
della base (nuclei a trasmissione dopaminergica). L’esordio è graduale e il
decorso lentamente ingravescente e la malattia può portare a gravissima
disabilità.
La diagnosi è fondamentalmente clinica e gli esami strumentali servono solo a
escludere altre patologie.
Il correlato anatomo-patologico mostra la presenza di corpi eosinofili
citoplasmatici (corpi di Lewy) nei neuroni dopaminergici della sostanza nera
mesencefalica con successiva perdita neuronale.
Si è scoperto che è proprio il deficit di dopamina è in gran parte
responsabile della patologia: la terapia per questo si basa nell’aumentare la
dopamina nel cervello.
L-dopa è il precursore della dopamina, che aumenta la produzione di dopamina,
e si è osservato che i pazienti rispondono bene alla sua somministrazione.
Esami con la PET mostrano che nel cervello normale si vede più dopamina nei
gangli della base. Si è osservato che terzo dei pazienti presenta disturbi
cognitivi, fino a un quadro demenziale vero e proprio.
La diagnosi differenziale è molto complessa per questi pazienti, che
presentano molte similitudini con altre forme di demenze, come la demenza a
corpi di Lewy, la paralisi sopranucleare progressiva e la degenerazione
cortico-basale, delle quali si hanno conoscenze parziali circa la
patogenesi.
Attualmente, per distinguere le malattie si usa il criterio temporale:
- Nel Parkinson, comparsa più veloce del disturbo motorio;
- Nella demenza a corpi di Lewy diffusi, comparsa più veloce del deficit
cognitivo.
Un’altra malattia è la SLA (sclerosi laterale amiotrofica), che comprende
diverse varianti a seconda della malattia ai motoneuroni (centrali o periferici)
o di gruppi di motoneuroni (come quelli che controllano, ad esempio, i muscoli
degli arti o dei bulbi).
Quadro clinico: debolezza muscolare progressivamente ingravescente, che si
estende a gruppi muscolari adiacenti fino a interessare la muscolature
respiratoria.
Solo il 25% dei pazienti sopravvive dopo i 5 anni e può coinvolgere un quadro
demenziale con caratteristiche frontali.
Non sempre il Parkinson diventa demente, e quando sviluppa una demenza è una
forma demenziale di tipo attentivo (ricorda poco, ha un deficit dell’attenzione
e di conseguenza della memoria). Questa forma demenziale è tuttavia molto più
lieve di quella dell’Alzheimer.
Terapia per il
Parkinson
Si è visto che per curare il Parkinson (attraverso l’aumento della dopamina)
nei pazienti si è riscontrato spesso che mostravano i sintomi tipici della
schizofrenia (deliri, allucinazioni).
L’aumento di dopamina provoca le alterazioni nel funzionamento neurochimico e
non nella morfologia, e riguardano, appunto, il sistema dopaminergico, dove le
connessioni nei gangli della base nella schizofrenia producono un eccesso di
dopamina.
Il Parkinson e la Schizofrenia sono due malattie, da un punto di vista
biochimico, opposte: il Parkinson è provocato da una riduzione di dopamina nei
gangli della base e si cura aumentandola (attraverso l’L-dopa) e la Schizofrenia
è provocata invece da un eccesso di dopamina nei gangli della base e si cura
riducendola (attraverso i neurolettici, che chiudono i recettori del neurone
post-sinaptico della dopamina, oppure aumentando la decomposizione della
dopamina). È utile sottolineare come la neurologia o la psichiatria non curino i
sintomi, ma li tengono sotto controllo, quindi, per esempio, nel caso della
schizofrenia, i farmaci aiutano il paziente a non vedere più l’allucinazione, ma
non eliminano la malattia.
Malattie
traumatiche
Il trauma cranico consiste in un violenti impatto del capo, che può provocare
vari tipi di conseguenza:
- Frattura al cranio
- Lesioni interne al cervello
- Lesioni esterne al cervello
L’ematoma subdurale, per esempio, consiste un accumulo di sangue in una zona,
che per manifestarsi richiede un certo periodo di tempo.
Le lesioni possono interessare tutto il cervello e statisticamente quelle più
frequenti sono alla base del lobo frontale e sul polo del lobo temporale.
I traumi cranici rappresentano la principale causa di disabilità nell’età
giovanile (fino ai 45 anni).
Il trauma cranico può causare direttamente la frattura del cranio la frattura
può interessare anche al dura madre.
La frattura ossea può lacerare un vaso arterioso meningeo, provocando
un’emorragia epidurale, ma anche un trauma non fratturativo può essere causa di
emorragia subaracnoidea o subdurale per la rottura di vene fra dura madre ed
encefalo.
Il trauma cranico può produrre diversi effetti e può essere:
- Lieve: caratterizzato dal mantenimento dello stato di coscienza
- Moderato: con perdita di coscienza prolungata e/o prolungato stato
confusionale
La presenza e la durata della perdita di coscienza e in particolare
dell’amnesia peritraumatica (retro e anterograda) sono considerati gli indici
più affidabili di gravità del trauma.
Alcuni pazienti, dopo uno stato protratto di coma, mantengono parametri
vitali normali, aprono gli occhi e sembrano apparentemente vigili, pur senza
evidenza di attività cognitiva o capacità di reagire a stimoli ambientali.
Tale stato si definisce comunemente stato vegetativo permanente e anche in
persone che recuperano la vigilanza possono spesso persistere deficit cognitivi
di natura e gravità variabile in rapporto soprattutto alla sede della
lesione.
I deficit più frequenti si verificano a carico dell’attenzione e delle
funzioni “frontali”, talvolta con disturbi del comportamento tali da impedire la
normale ripresa delle attività precedenti al trauma.
L’encefalo è protetto e ammortizzato da tre membrane:
- Pia madre
- Dura madre
- Aracnoide
I traumi dovuti a incidente stradale interessano prevalentemente soggetti
giovani maschi, che fanno molti più incidenti.
Sintomi del trauma cranico:
- Disturbi dell’attenzione (colpo al lobo frontale temporale)
- Alterazione del carattere (diventa più irritabile, aggressivo)
- Disturbi della memoria (amnesia post-traumatica)
- Afasia anomica (ha difficoltà a trovare le parole)
- Amnesia lacunare
- Disorientamento (non ricorda cosa ha fatto o dove si trovava solo un’ora
prima).
Il traumatizzato cranico può presentarsi in diversi livelli di gravità.
Occorre, nella diagnosi, porsi le domande riguardo alla perdita di
conoscenza, al suo eventuale livello, e se è un coma.
Scala del coma di
Glasgow
I punteggi complessivi vanno da 3 (caso più grave) a 15 (nessun danno). Un
punteggio di circa 7-8, è spesso associato a un quadro nel quale il paziente
difficilmente non mostra dei sintomi di interesse marcato e non ritorna più come
prima del trauma.
Infatti si ripresentano in seguito vari residui, che dipendono dalla gravità
dell’evoluzione del caratteristiche del trauma.
Le conseguenze per il traumatizzato cranico sono in genere stabili, ma
possono andare dall’irreversibilità della coscienza all’apparente totale
recupero.
Molti sintomi sono subdoli, che possono portare a un grave
disadattamento.
- Cambiamenti di carattere (aggressività, irritabilità)
- Residui afasici
- Residui amnestici (amnesia anterograda per il 95% dei traumatizzati cranici,
che ad esempio, studiano e poi non ricordano) - Riduzione nei tempi di reazione (ad es. non sono più in grado di
guidare)
Dopo la fase acuta, il paziente viene considerato integro dal medico, ma in
realtà ha ancora molti sintomi subdoli e residui che si manifestano solo più
tardi.
Stato di morte
cerebrale
La lesione cerebrale fa scomparire l’attività cerebrale (che si rileva con
l’EEG).
Lo stato di morte cerebrale può avvenire, per esempio, a seguito di:
- Violentissimo trauma cranico
- Tentativo di impiccagione
- Infarto
In tutti questi casi, il sangue ossigenato non affluisce più al cervello per
diversi minuti.
Lo stato vegetativo persistente è caratterizzato da un periodo di almeno un
anno dove il paziente non risponde più a nessuna stimolazione esterna, ma
mantiene alcuni automatismi motori (ad es. beve).
I suoi movimenti sono casuali, poiché non ha coscienza.
È stata fatta una ricerca a pazienti in stato vegetativo persistente
unitamente a un gruppo di pazienti di controllo ai quali veniva chiesto di
giocare a tennis.
Si osservava nel frattempo l’attività mentale di entrambi i gruppi di
pazienti tramite risonanza funzionale ed è emerso che 15 su 60 pazienti in stato
vegetativo persistente rispondevano con un’attività mentale simile a quella del
gruppo di controllo.
È stato per questo costruito un sistema per valutare le risposte del soggetto
sulla base del quale (cioè attraverso l’attività cerebrale) egli poteva
rispondere a domande semplici (si/no) e coloro che rispondevano in maniera
corretta erano del 20%.
Un’altra tecnica, quella del Mind Driving, rileva i ricordi e gli
stati mentali corrispondenti ad attività cerebrale
[/box]