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Fumo di sigaretta e fegato grasso: le nuove evidenze

Fumo di sigaretta e fegato grasso: le nuove evidenze

A meno che non si realizzino progressi radicali nel diminuire l'iniziazione e aumentare la cessazione del consumo di tabacco, è stimato si possano verificare un miliardo di morti evitabili nel ventunesimo secolo in tutto il mondo. Pertanto, il fumo di sigaretta deve essere considerato una malattia cronica, e rappresenta la principale causa prevenibile di morte e disabilità in tutto il mondo. Il fumo è un importante fattore di rischio per la malattia polmonare ostruttiva cronica (BPCO), il cancro polmonare e la malattia cardiovascolari gravi come infarto miocardico, morte improvvisa, ictus e vasculopatie periferiche.In questo contesto, vi è una correlazione dose-risposta tra morbilità/mortalità e il numero di sigarette accese. Inoltre, aumentano le usanze di nicotina tramite formulazioni, come cerotti transdermici, gomme da masticare e le sigarette elettroniche.

La mancanza di strategie mirate ed efficaci per controllare il consumo di tabacco, contribuiscono a un grosso onere dei disturbi cardiovascolari nelle popolazioni a basso e medio reddito in tutto il mondo, dove il CVD è diventato la causa principale di morbilità e mortalità. Nel 2009, circa 60 milioni di americani erano fumatori e circa 88 milioni di non fumatori sono stati esposti al fumo passivo. Inoltre, il fumo porta a considerevoli costi finanziari alla società. Tra il 2009 e il 2012, negli USA sono stati spesi circa 310 miliardi di dollari, con il 49% di tale importo speso per cure mediche e il resto a causa della perdita di produttività lavorativa. Gli effetti negativi del fumo, dunque, riducono la qualità della vita e possono portare a ingenti oneri finanziari, sia personali che societari.

La steatosi epatica non alcolica è il più comune disturbo epatico associato a sindrome metabolica e diabete mellito. Esso comprende l'intero spettro del cosiddetto “fegato grasso”, che va dalla semplice steatosi alla steatoepatite non alcolica (NASH), e può progredire sia in cirrosi epatica che carcinoma epatocellulare. Che il fumo possa causare steatosi epatica, questo è un riscontro relativamente nuovo, in confronto della maggiore probabilità che i composti tossici del tabacco (policiclici, nitroso-derivati, aldeidi, ecc) possano causare degenerazione tumorale di quest’organo. I dati del Framingham Heart Study hanno dimostrato che:

– l'aspettativa di vita di un fumatore obeso è di 13 anni meno di quella di un normale non-fumatore;

– il tabagismo riduce il peso corporeo e l'indice di massa corporea (BMI), che rendono molte persone riluttanti a smettere di fumare.

– il fegato grasso è caratterizzato da cattivo controllo glicemico e dislipidemia, indipendentemente dal tessuto adiposo viscerale.

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Come la nicotina possa condizionare l’obesità è ancora un campo aperto da indagare, ma sembra che vi siano meccanismi multipli da considerare, uno dei quali apparentemente non correlato al problema. Alcuni Autori hanno provato che la nicotina, tramite suoi classici recettori (nAChRs) periferici, può inattivare meccanismi cellulari che si attivano invece nel digiuno. Attraverso l’intervento di secondi messaggeri (metaboliti), inoltre, la nicotina porta le cellule epatiche ad esprimere numerose proteine coinvolte nella sintesi degli acidi grassi (ACCB, SREBP-1c, FAS, ecc.). In cronico, dunque, si innesca una sintesi di trigliceridi che è indipendente in parte dalla sintesi indottda dall'alimentazione.

Un gruppo indipendente di ricercatori ha dimostrato, invece, che la nicotina può indurre stress ossidativo nelle cellule del fegato, sbilanciando la sintesi delle lipoproteine (HDL/LDL). Effetti cellulari della nicotina sono stati rilevati anche negli adipociti, le cellule che si ingrandiscono nel tessuto adiposo. E qui si può anche accumulare, poiché la nicotina ha natura idrofoba (si scioglie cioè nei grassi). Infine, ci sono già le prime prove convincenti che il tabagismo cronico condizioni la composizione della flora batterica intestinale (vedere bibliografia allegata). La presenza di disbiosi intestinale è già stata dimostrata per diabete, malattia metabolica ed obesità. Alcuni studi già provano che il fumo cronico altera la composizione batterica intestinale, causando infiammazione della mucosa, eventi che invertono la tendenza mano a mano che si cessa di fumare (ultime voci bibliografiche).

Lo spettro dei disturbi connessi al tabagismo, dunque, si allarga a compartimenti diversi da quello classico polmonare e oncologico più o meno specifico. Si, forse il vecchio detto “fumare fa dimagrire” può avere un fondo di verità, ma per la proporzione fra rischi e benefici sul piatto della bilancia, forse è meglio perdere peso con modalità più salutari.

– articolo a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, Medico specialista in Biochimica Clinica.

 

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