News obesità: markers diagnostici dal sangue?

Fenomeno obesità: dati alla mano
Obesità. Secondo i risultati dell’Indagine Multiscopo dell’Istat sul tema è emerso che in Italia, nel 2012, il 35.6% della popolazione adulta era in sovrappeso, mentre una persona su dieci era obesa. La percentuale di popolazione in eccesso ponderale cresce all’aumentare dell’età e, in particolare, il sovrappeso passa dal 15,8% dai 18-24 anni al 45,8% tra i 65-74 anni, mentre l’obesità dal 2,8% al 15,9% per le stesse fasce. Nelle età più avanzate il valore diminuisce lievemente rispetto alla fascia di età precedente. Inoltre, la condizione di eccesso ponderale è più diffusa tra gli uomini rispetto alle donne (sovrappeso: 44,2% vs 27,6%; obesità: 11,3% vs 9,5%). Fino al 1980, solo una persona su cinquanta era obesa, ma di poi si è registrato un raddoppiamento ed anche una triplicazione dei tassi in diciannove dei trentaquattro paesi europei, per cui la maggior parte della popolazione è ora in sovrappeso o obesa. Nel 2008 in tutta l’Europa oltre il 50% degli uomini e delle donne era in sovrappeso e circa il 23% delle donne e il 20% degli uomini avevano obesità franca. Nel 2010 trentasei Stati presentavano un tasso di obesità uguale o superiore al 25% e dodici di essi raggiungevano almeno il 30%.
In base alle ultime stime, sempre nei paesi dell'UE, il sovrappeso colpirebbe il 60% delle persone adulte e l'obesità il 10-30%. Le proiezioni, peraltro, indicano che entro il 2020 in alcuni paesi 7 persone su 10 saranno in sovrappeso o obese. L'OMS aveva previsto che nel mondo entro il 2015 gli adulti in sovrappeso sarebbero saliti a 2,3 miliardi e più di 700 milioni con obesità. Peraltro, con l’invecchiamento demografico della popolazione mondiale, si stima adesso che per gran parte dei paesi del mondo circa il 20% delle persone dopo i sessantacinque anni di età è affetta da obesità. Sotto aspetti definiti, l'attuale epidemia mondiale dell’obesità deve essere considerata come un processo non trasmissibile nel contesto della globalizzazione. In tema di Sanità Pubblica, infatti, questo processo ha un impatto importante sia sulle determinanti economiche che sociali. C'è, a tal proposito, una crescente evidenza che le tendenze globali di stile di vita, il comportamento alimentare e l'adattamento culturale, contribuiscano ovunque al determinismo del rapido aumento della malattia.
C’è, purtroppo, da considerare che in più parti del mondo non vi sia ancora la consapevolezza che obesità è una malattia epidemica, come risposta negli ultimi quaranta anni alla drastica e progressiva riduzione dell’attività fisica e ai grandi cambiamenti nella fornitura alimentare dei paesi. L’OMS ha stimato che globalmente 3,4 milioni di adulti muoiono ogni anno per cause correlate a sovrappeso e ad obesità. Si stima che il 23% delle cardiovasculopatie, il 44% dei casi di diabete, e quasi il 25% di alcune forme di cancro siano attribuibili all’eccesso ponderale. Ma la lista non è finita. Sempre maggiori evidenze indicano che l’obesità può condurre ad altre patologie non da meno, per l’impatto economico che hanno sulla Sanità Pubblica: osteoartrosi, malattie polmonari, trombosi venosa ed infertilità. Solo per i rischio cardiovascolare, si consideri che una perdita in peso di 6-7 Kg è in grado di determinare una diminuzione del 50% del rischio di re-infarto. Una perdita del peso corporeo del 10%, fa ridurre i valori della pressione sistolica e diastolica di quasi il 10%. L’ipertensione, infatti, è noto essere un fattore di rischio associato alle cardiopatie; una diminuzione di 5 Kg, inoltre, riduce del 50% il rischio di sviluppare un diabete. Infine, ridurre la BMI di 2 unità riduce del 50% il rischio di sviluppare un'osteoartrosi.
Il fattore diagnostico
Accertarsi della presenza di indici o markers connessi con la possibilità di sviluppare obesità potrebbe essere più facile di quello che si pensi. Incredibilmente, la VES e la proteina C reattiva (PCR) sono stati gli uniiversali indici infiammatori della medicina di laboratorio. Ma altre proteine plasmatiche possono rappresentare dei validi marker diagnostici di flogosi. VES e PCR sono definite "proteine di fase acuta" ed indicano soltanto la presenza di un'infiammazione; ma non specificano dove essa si trovi o il suo andamento. L’obesità altera l’omeostasi metabolica sistemica e induce un’incremento del tessuto adiposo viscerale, che produce a sua volta un processo infiammatorio con incremento di numerose citochine pro-infiammatorie. In condizioni normali, gli adipociti bianchi accumulano lipidi mentre i macrofagi del tessuto bianco liberano arginasi e citochine anti-infiammatorie (IL-10 e IL1RA). In condizioni di obesità, il tessuto adiposo bianco viscerale si infiamma per un’azione combinata tra gli adipociti e i macrofagi: i primi crescono in numero e dimensioni, i secondi infiltrano il tessuto, aggregandosi attorno ad adipociti in disfacimento. Tra tutte le adipochine secrete dal tessuto adiposo, oltre una ventina presentano concentrazioni circolanti aumentate nei soggetti obesi: alcune di queste come la PCR, l’aptoglobina e l’amiloide A sono proteine della fase acuta, principalmente prodotte in risposta allo stimolo infiammatorio indotto dall’obesità viscerale. Molte delle rimanenti molecole sono citochine infiammatorie prodotte dai macrofagi, eccetto la FABP-4 e la leptina, che sono prodotte invece dal tessuto grasso.
Un’analisi della letteratura (2010) riferita all’impiego della determinazione quantitativa con metodi immunometrici di diverse adipochine umane circolanti nell’obesità e nella sindrome metabolica, evidenzia che su circa 300 lavori complessivi il metodo ELISA viene utilizzato direttamente o per confronto in tutti gli studi. Tra le adipochine rilevate, la leptina è stata dosata da sola o in associazione in 168 studi (55,8%), l’adiponectina è stata indagata in 77 studi (25,6%) e la resistina in 25 (8.3%); 37 altre adipochine sono state prese in esame, con un numero di studi compreso tra 1 e 8 per ciascuna di esse. Altri studi si sono focalizzati sull'aptoglobina, che viene in parte prodotta dal tessuto adiposo, le cui concentrazioni plasmatiche correlano con quelle dell’insulina, indipendentemente da altri fattori di rischio metabolico e cardiovascolare. L’interleuchina 6 (IL-6) è una citochina proinfiammatoria prodotta in parte anche nel tessuto adiposo. Esiste una stretta relazione tra grado di obesità e concentrazioni di IL-6, confermando che l’obesità è caratterizzata da un’infiammazione generalizzata di basso grado. L'IL-6 è facilmente dosabile nel plasma sanguigno; quindi potrebbe rientrare fra i marker di facile individuazione di infiammazioni nascoste pre-obesità. Lo stesso dicasi per il fattore di necrosi tumorale (TNF-alfa), altra citochina elevata nelle flogosi sistemiche o di organo, che è facilmente dosabile sia nel plasma che nelle urine.
L’obesità addominale si associa sia a un’alterata funzione endoteliale, sia a un ispessimento del complesso intima-media della carotide, che correla con quanto si verifica nelle coronarie. La disfunzione endoteliale si caratterizza per la riduzione della produzione di ossido nitrico (*NO) con vasocostrizione, aumento delle resistenze vascolari e incremento dei valori pressori. Il deficit di *NO è correlato allo stress ossidativo, come dimostrato dalla maggiore eliminazione urinaria di 8-epi-prostaglandina F2 alfa (8-e-PGF2α). Questa può diventare un marker di stress ossidativo che segnali le condizioni infiammatorie ed ossidanti, in caso sia di obesità che diabete mellito e sindrome metabolica. Un altro catabolita indice di danno ossidativo dosabile nelle urine è la 8-idrossi-guanosina (8-OH-dG), che è un marker specifico di danno agli acidi nucleici. La sua presenza in eccesso nelle urine, in apparente assenza di obesità o diabete, potrebbe rappresentare un marker precoce di lesione cellulare in atto.
– a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, specialsita in Biochimica Clinica.